Ti guardano dritto negli occhi, con i loro. Non hai scampo: le loro parole, i loro racconti ti inchiodano alla realtà del mondo e della vita, a quella verità che ti sfugge, a quel senso che fai fatica a trovare perché oscurato dalla malattia, dalla fame, dall'ingiustizia, dalla povertà, dalle guerre, dalla violenza, dalle insopportabili diseguaglianze che dividono sempre più l'umanità. Sono i volti di uomini e donne d'ogni età, etnia e religione che hanno accettato di raccontarsi in Human, il film del fotografo francese Yann Arthus-Bertrand, un progetto realizzato con il sostegno della Fondazione Bettencourt Schueller e Good Planet - presentato fuori concorso a Venezia - , che per soli tre giorni, dal 29 febbraio al 2 marzo, sarà nelle sale italiane, con il patrocinio dell'Unesco. "Filmato in 60 paesi, con 2.020 persone intervistate in 63 diverse lingue, per un totale di 2.500 ore di girato - Human più che essere un film tradizionale, è un progetto audiovisivo - spiega il regista - dalle molte sfaccettature e dl valore politico, che ha richiesto tre anni di lavoro. Sognavo un film dove il potere delle parole riecheggiasse sulla bellezza del mondo. Al suo cuore c'è però l'immensa ricchezza del dialogo umano, le voci di tutti gli uomini e le donne che mi hanno raccontato le loro storie, anche le più terribili".

Le testimonianze, montate in una calibratissima sequenza che non ostacola le tre ore di lunghezza del film, esprimono il dolore e l'amore, l'ingiustizia e il perdono, lo sfruttamento e la libertà, la disperazione e la speranza, fino all'attesa della morte e di ciò che va oltre. Human è un'esperienza indimenticabile e senza confini, come lo sono anche le stupende, impressionanti immagini aeree del nostro pianeta e dei suoi abitanti, intercalate ai volti. La coscienza si solleva, talvolta l'impotenza annichilisce. Quando, ad esempio, un rifugiato confessa di "averlo nel sangue, di partire" e un indiano constata che "la ricchezza di una minoranza dipende dalla miseria di una maggioranza". Lacrime e sorrisi si confondono e si perdono. E la vita diventa, comunque, dono ricevuto e offerto. Un bambino di pelle nera, con un sorriso appena accennato, dice: "Io sono qui per fare quello che Dio ha previsto per me".