Archiviata l’era Monda e deposte le armi di una guerra di successione degna di House of the Dragon ma apparecchiata e servita come qui si addice, con le sguaiatezze, le volgarità e gli stracci volanti di un antico fescennino, non resta che munirsi di invito alla Festa e scoprire quali attrazioni la giostra guidata dalla diarchia Malanga-Farinelli avranno riservato. Lo scetticismo è grande per il tempo perduto tra cazzotti a mezzo stampa e nomine che tardavano ad arrivare e per il clima generale da fine mondo che strozza il cinema a ogni lido, non tanto e non solo per i temi che piacciono ai titolisti dei giornali.

E allora, che Roma sarà?

L’apertura in volo “libro” con Il Colibrì archibugiano – film corale, attoroni, paturnie personali e collettive, allure sofisticata da cinema con brillocco, molto nostro e nostrano - dice molto ma non abbastanza. Conferma la volontà di puntare forte sul Made in Italy (scelta preventivabile, non per forza disprezzabile, visti i trascorsi in Rai Cinema della neo-direttrice Paola Malanga), dentro una stagione non memorabile del cinema tricolore ma produttivamente variegata, quantitativamente robusta e qualitativamente esile.

A ribadire, all’inverso, la regola aurea per cui quando non ci sono i soldi abbondano le idee. Il vessillo italico sventola accanto al gonfalone capitolino, tirato a lucido dalla manina della grafica: il nuovo logo con La Lupa, simbolo universale della Città Eterna e dito nell’occhio per la Roma di ascendenza aquilotto-laziale, aggiorna la tradizionale forma tondeggiante disegnata nel 2006 da Renzo Piano e rivela quell’abbarbicarsi nell’Urbe auspicato dal sindaco Gualtieri: una Roma di Festa, ovvero una kermesse estesa nello spazio (non solo all'Auditorium) e nel tempo (non 11 giorni, ma tutto l'anno).

Bérénice Bejo e Pierfrancesco Favino in Il colibrì (foto di Enrico De Luigi)
Bérénice Bejo e Pierfrancesco Favino in Il colibrì (foto di Enrico De Luigi)
Bérénice Bejo e Pierfrancesco Favino in Il colibrì (foto di Enrico De Luigi)

Mandato prontamente raccolto da Gianluca Farinelli, già potente deus ex machina della Cineteca di Bologna (che non abbandona) e nuovo Presidente della Fondazione Cinema al posto di Laura Delli Colli: “M'impegno a far emergere ancora di più il rapporto strettissimo che esiste tra il cinema e la Capitale, una delle pochissime città al mondo che possono identificarsi con la Settima Arte”, aveva dichiarato all’indomani della nomina.

Detto, fatto: dalla proiezione (lo scorso 24 luglio) di Vacanze romane sulle Mura Aureliane a Porta Pinciana con Via Veneto come platea, alla nuova arena gratuita al Parco degli Acquedotti che fino al 4 agosto scorso ha programmato film restaurati; e poi il ritorno del Floating Theatre al laghetto di Villa Ada, l'arena galleggiante di Alice nella Città (nata come sezione dedicata al cinema per ragazzi, è diventata sotto la direzione di Fabia Bettini e Gianluca Giannelli un vero e proprio festival nel festival, non di rado concorrenziale a quello principale); la rassegna di cinema sperimentale al MAXXI che tra novembre e dicembre ospiterà il festival del documentario. Iniziative non estemporanee, la cui autonomia organizzativa non deve ingannare sull’univoca matrice politico-culturale che scommette sulla Festa di Roma come apogeo di una mobilitazione generale della città a favore del cinema.

Non che l’idea sia nuova – dalla Detassis a Muller a Monda tutti gli ex direttori hanno accarezzato il sogno di un grande festival urbano – ma l’allineamento astrale dei pianeti amministrativi-istituzionali-artistici offre quantomeno maggiori garanzie di riuscita.

Poi è evidente che conteranno i film e i biglietti venduti (a differenza di Venezia dove invece per la critica intellò contano soprattutto i primi e solo quelli che le piacciono), ma un po’ di marketing preliminare serve sempre. E allora “udite, udite” non basta una nuova gestione e una (nuova?) filosofia ma è opportuno un maquillage di format: torna il concorso (che non si chiama così ma Progressive Cinema - Visioni per il mondo di domani, che sa tanto di ecologia della competizione), con giuria di esperti e ben 6 premi (miglior film, Gran Premio della Giuria, regia, migliore attrice, miglior attore e Premio speciale della Giuria).

Paola Malanga
Paola Malanga
Paola Malanga

Spazio a tutte le espressioni dell’audiovisivo: videoclip, videoarte, serie tv, cinema da grande pubblico, film da altri festival internazionali, restauri e retrospettive. Il tutto ospitato nelle nuove sezioni Freestyle, Grand Public, Best of 2022. Lo spettatore continuerà ad assegnare un proprio riconoscimento, mentre il Premio speciale della Giuria sarà proposto dal presidente a scelta fra sceneggiatura, fotografia, montaggio e colonna sonora originale.

E ancora due premi: alla migliore commedia e alla migliore opera prima, quest' ultimo assegnato in collaborazione con Alice. E poi le masterclass che avevano fatto la fortuna della Festa di Monda non lasciano ma raddoppiano: a Paso Doble saranno due autori a dialogare tra loro mentre Absolute Beginners ospiterà un regista affermato pronto a raccontare i propri esordi sul set.

Resta forte il sospetto che sia una proposta in via di definizione, costretta dalle tempistiche di un avvicendamento turbolento e dal “vivace” pluralismo interno ad abbracciare per ora la politica dell’annuncio più che quella di un reale cambiamento.

E d’altra parte, in un momento storico in cui anche i grandi festival patiscono turbamenti pirandelliani, non sapendo bene se e come fuoriuscire dalla bolla dell’evento che li preserva e insieme li fa fluttuare lontani dalla terra, perché pretendere da Roma, che di dilemmi identitari ha sempre sofferto, una chiarezza di intenti e di obiettivi?

Davvero si vuol credere che i festival salveranno il cinema quando sarebbe già molto se riuscissero a salvare sé stessi (parliamo, nel caso della Festa Capitolina, di un indotto economico-occupazionale che a bilancio 2021 registra un valore di produzione di 5.643.071 euro)?