Sulla carta strampalata, l'impresa di mettere insieme tanfo d'osteria e corale sacra, misantropia e candore senza rimedio, riesce più che egregiamente al 36enne Matteo Oleotto. Debuttante, ma in grado di esibire un controllo della messa in scena da commediante consumato, il regista nativo di Gorizia regala con Zoran - Il mio nipote scemo (unico italiano alla SIC) una piacevole sorpresa alla Mostra e un nome su cui investire al cinema italiano.
Ambientato nell'alticcio microcosmo di un piccolo paese friulano, tra le frasche dove si beve senza risparmio e viottoli che passano come serpenti in mezzo ai campi, questa commedia a metà strada tra l'Italia e la Slovenia, l'abbrutimento e la pace bucolica, racconta con l'amabilità del vino e la compunta riflessività del doposbornia, una banalissima storia di riscatto.
Protagonista un grosso e ributtante rottame umano, nome Paolo, che trascorre il suo tempo a ingozzarsi e trangugiare, sbraitare e comportarsi male, come solo sanno fare i falliti colmi di superbia. Paolo vivacchia trascinandosi tra un lavoro che odia e una vecchia bettola a conduzione familiare. Unico diversivo gli inviti a pranzo di un pio amico, che Paolo disprezza ma che frequenta pur di stare vicino alla donna che ama, la convivente dell'uomo e l'ex moglie del nostro ciccione.
Incattivito, annoiato e prigioniero di una bolla di malessere, Paolo è in un vicolo cieco. Finché una lontana parente slovena, passata a miglior vita, non gli lascia in eredità un ragazzino occhialuto e compito fino all'autismo, che si rivelerà un prodigio delle freccette e una possibile fonte di guadagno. La bolla esplode...
Ci si salva solo con gli altri: messaggio chiaro, morale adamantina. Non sorprende nemmeno che il film veleggi dalle parti della favola, come tanta commedia nostra recente. Ma qui tutto si tiene e tutto si giustifica grazie all'insospettabile maestria con cui Oleotto organizza le diverse molecole del racconto, alla fiducia che trasmette (ce n'è bisogno!), alla genuinità e alla capacità di distillare gli umori della remota provincia, l'Italia di confine. Confine: parola che si attaglia bene a Zoran anche nella geografia del cinema, per come marca stretto cinica ironia e serena amarezza, predisposizione al ritratto e sensibilità ambientale, comicità popolare e umanissima, profondissima, empatia. Si scivola qua e là nella macchietta o si eccede talvolta in sentimentalismi, ma ci può stare considerato il sottilissimo equilibrio emotivo dell'operazione e la prima volta del suo autore.Il film però non sarebbe stato lo stesso senza la performance di Giuseppe Battiston, colonna portante della storia, finalmente perfetto in un ruolo tagliato su misura.
Una volta tanto poi, la sceneggiatura non balbetta e la confezione nasconde benissimo i fichi secchi del budget. A dimostrazione che per fare centro non servono chissà quante frecce nell'arco.Ne basta una sola. Una freccetta, dritta al cuore.