“Questo aereo è tutto per lei: dove la porto?”. Il volto di Maya (Jessica Chastain) cede per la prima volta, dopo otto anni: la ricerca del nemico n. 1 è terminata, il corpo di Osama bin Laden giace in un sacco, Maya – e con lei l'America – si ritrova quasi svuotata di senso, incapace di percepire dove, nell'immediato, indirizzare i propri sforzi per garantire la sicurezza al paese.
La metafora lampante con cui si chiude Zero Dark Thirty, 5 nomination agli Oscar (ma incredibilmente non alla regista), è forse l'unica concessione che Kathryn Bigelow regala dopo un'estenuante caccia all'uomo che, dall'attacco del settembre 2001 (rievocato in apertura su fondo nero e le reali chiamate al 911 degli intrappolati nel World Trade Center), ha condizionato per dieci anni il lavoro e l'esistenza degli agenti dell'intelligence della CIA.
Il film, forse il più importante dell'intera carriera della filmaker premio Oscar, sintetizza questo decennio cruciale in 157': il risultato è sbalorditivo, frutto dell'ormai collaudata collaborazione con Mark Boal e di un lavoro di ricerca che, non a caso, ha ingenerato discussioni e polemiche tanto durante la realizzazione dell'opera quanto a film concluso. La CIA, pur collaborando attraverso l'ufficio relazioni esterne “nei limiti del possibile”, a giochi fatti ha preferito (attraverso le parole del direttore operativo Michael Morell) prendere le distanze su alcune “licenze narrative” riscontrate durante la visione di Zero Dark Thirty: da una parte provando a spiegare quanto il successo finale sia arrivato grazie al lavoro di una squadra ben più nutrita di uomini e non solo per l'indefessa tenacia di un'unica agente, dall'altra riducendo l'importanza che avrebbero avuto alcuni metodi poco ortodossi (leggi: torture) nell'estorcere informazioni cruciali agli affiliati di Al Qaeda per giungere al nascondiglio definitivo di Bin Laden, ad Abbottabad, in Pakistan.
Onestamente, la questione perde importanza di fronte ad un'opera che – attraverso i connotati del film-reportage – riesce a tracciare un solco profondissimo da cui il cinema dovrà ripartire per poter raccontare, intrattenendo, la storia dei nostri giorni.