Se il pesce puzza dalla testa, il film dalla sceneggiatura? Il trio Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Virzì denuncia qualche affanno creativo e drammaturgico, non da oggi: vi ricordate Notti magiche, anno 2018, diretto da Virzì? Fuori concorso a Venezia 76, questo Vivere, regia della Archibugi, è drasticamente peggio: non se ne capisce il senso, ma si capisce fin troppo bene il distacco dalla realtà, di più, l’estraniamento dalla realtà del team di scrittura.

Prendiamo, per dirne uno, il giornalista precario, Luca, interpretato da Adriano Giannini: si parla a vanvera di boxini mesmerizzanti, battute (duecento) da tagliare come fatiche di Sisifo, rapporto con i capi e proposte contrattuali inverosimili, insomma, il giornalista che non c’è, meglio, che non esiste. E che male, per chi lo è sul serio.

Non è da meno la di lui consorte, Susi, incarnata da Micaela Ramazzotti: una macchietta svilente della madre-moglie-lavoratrice contemporanea. Personaggi, anzi, personaggetti con cui non solidarizzi, empatizzi mai: non è vivere, e nemmeno sopravvivere, è turlupinare la vita oggi, questo Vivere.

Attorno alla coppia lasca, una figlia che soffre d’asma; una ragazza au pair irlandese (Roisin O’Donovan) che è figlia di Maria e vedremo che altro; un vicino a mo’ di Grillo parlante ribattezzato Perind (crasi di perito industriale, boh), ovvero lo sprecato Marcello Fonte; l’ex moglie borghese di Luca (Valentina Cervi) e l’ex suocero avvocato (Enrico Montesano); il figlio di Luca tutto bowling, macchinetta e coca (Pierpaolo) e il luminare Marinoni, reso intensamente e però vanamente da Massimo Ghini.

A tenerli insieme, si fa per dire, un copione farcito di nonsense involontari, dialoghi insensati, sentimenti insensibili: si attende solo la fine.