È un De Gregori senza barba né cappello quello che si mostra nel documentario di Daniele Barraco, un De Gregori senza le sue “maschere” che però nel suo smascheramento rende evidente come, per un artista vero, travestimenti e cambiamenti non siano altro che tappe di uno stesso percorso di esplorazione e sperimentazione della propria arte, un bisogno di cercare nuovi territori espressivi: “sono più i cambiamenti che avvengono dentro che sono importanti e quelli non sono corrispondenti a un taglio di capelli o a un taglio di barba, a un cappello o a un paio di occhiali”.

È questo che si propone di mostrare Vero dal vivo nel seguire Francesco De Gregori nel suo tour invernale del 2017 che dai club europei arriva a New York, passando per il Bataclan recentemente straziato. Da un Paese all’altro vengono interpellati i fan che attendono l’inizio del concerto: sono immigrati italiani o figli di italiani a cui brillano gli occhi mentre raccontano di essere cresciuti con la sua musica. Riservato ma acceso da lampi di ironia, fermo nel dirigere la band verso la sua visione, De Gregori passa di città in città accompagnato da un’onnipresente sigaretta accesa che col suo fumo svela tolleranze e intolleranze dei diversi Paesi e lascia spazio a momenti divertenti.

Gli 80 minuti del documentario scorrono veloci tra backstage, prove e interviste alla band, e se sono tanti i classici dell’autore che compaiono nel film, a nessuno di loro è dato il privilegio dell’interezza, così che di ognuno ci viene offerto solo uno spezzone e dei concerti non ci è concessa che una sbirciata fino all’entrata sul palco. Risulta allora ancor più particolare la scelta di far ritornare più e più volte la versione di Anema e core interpretata in duetto con la moglie Chicca (che lo accompagna in tour) e che vediamo registrare nei Real World Studios di Bath: la canzone è ripetuta, ricantata, ridiscussa molte volte, tanto da diventare quasi un personaggio che dà vita ai momenti più calorosi del film, dove si crea e si cerca un contatto tra persone. Ne risulta così esaltato il rapporto con la moglie, presenza gentile e vivacizzante all’interno delle dinamiche ritratte nel film, ma viene anche indubbiamente messa in risalto l’ultima avventura in cui si è imbarcato il cantautore: un progetto a quattro mani con l’artista Mimmo Paladino che prevede una xilografia originale dell’artista lucano a fare da involucro al vinile della versione di Anema e core firmata da De Gregori e consorte.

Vero dal vivo è un documentario in cui luoghi e musica si sottraggono a un’impressione di totalità, per lasciare spazio alla sensazione di apertura e fluidità dell’ispirazione e della ricerca. “Non lo so cosa vorrò fare dopo pranzo”, risponde a un certo punto De Gregori, ma si potrebbe anche intendere come un “non so cosa vorrò fare più avanti”. È questa apertura all’imprevedibile della vita e dell’arte, alla sperimentazione mai lontana da una fedeltà a se stessi che fa sì che si perdoni al documentario di non essere riuscito nell’impresa forse impossibile di fornire un ritratto veramente intimo dell’artista. Quando nell’ultima scena De Gregori cammina per le strade di New York con in sottofondo Per le strade di Roma abbiamo la sensazione che il viaggio in cui Francesco ci sta guidando sia ancora lungo.