Brindisi. Città portuale del Meridione che affaccia sul Mediterraneo. Un tempo fu un importante crocevia commericiale e culturale dall’Impero Romano fino alla Compagnia delle Indie. Oggi è un importante centro industriale e nel suo porto ogni giorno navi cargo scaricano tonnellate di combustibili fossili che riforniscono il petrolchimico Eni e la centrale a carbone Enel, tra le più grandi d’Europa.

A raccontarci questa realtà è il documentario di Corrado Punzi dal titolo Vento di Soave, l’espressione con cui Dante nella Divina Commedia si riferisce alla dinastia sveva, periodo in cui la città visse il suo massimo splendore con l’imperatore Federico II. Presentato in concorso al 35. Torino Film Festival nella sezione italiana.doc, il film racconta storie di ostinata opposizione al gigante industriale, descrivendone anche i danni sociosanitari in un territorio a vocazione agricola. 

Tra meloni gialli che diventano neri per il carbone e piante di carciofi che non si fanno più come una volta, rimane, a testimonianza di quel passato glorioso, il vento che trasporta i fumi di questa centrale e del petrolchimico Eni nell’aria della città. Tra tac, pagliacci e canzoni di Frozen che cercano di strappare un sorriso ai bambini ricoverati in ospedale e il sindaco Nando Marino che promette di far diventare Brindisi la città più ricca del mondo, Vento di Soave osserva sia la quotidianità di chi si ritiene vittima dell’impatto ambientale delle industrie, ma continua a lavorarci a ridosso, che chi ricopre incarichi istituzionali per queste stesse industrie, lavorando alla costruzione della loro immagine.

Al centro c’è un tema cruciale per i nostri giorni: il conflitto moderno tra progresso e danni ambientali. Brindisi diventa così l’archetipo di un modello di sviluppo insostenibile perseguito in diversi Sud del mondo e riproposto ancora nello stesso territorio salentino con la costruzione del gasdotto Tap. “Su di noi nemmeno una nuvola”, canta Pupo nel finale amaro del doc. Su Brindisi purtroppo ci sono ancora tante nuvole.