Chi era, chi è Val Kilmer? Semplicemente “Iceman” dopo il planetario successo di Top Gun? O, anni più tardi, uno dei Batman più sfortunati del grande schermo? Oppure l’unico attore sulla faccia della terra disposto a mettere a rischio la sua vita privata (dato che da lì a poco la moglie Joanne Whalley chiese il divorzio) pur di reincarnarsi in Jim Morrison in The Doors di Oliver Stone?

Val Kilmer è stato tutto questo, ma è anche molto altro. Lo scopriamo grazie al notevole documentario (Val, semplicemente, giustamente) realizzato per modo di dire dallo stesso Kilmer – ore e ore di registrazioni domestiche, private, dal dietro le quinte delle produzioni a cui ha preso parte, dall’infanzia a oggi) – e finalizzato da Leo Scott e Ting Poo: un ritratto sincero, intimo, divertente e doloroso di un uomo che non semplicemente voleva “fare” ma che voleva “essere” attore.

Oggi 61enne e da anni costretto a combattere contro un cancro alla gola, Val Kilmer ha ovviamente perso la bellezza di un tempo e, con essa, anche la voce a causa della tracheostomia (per parlare utilizza una protesi fonatoria con il conseguente effetto metallico su ogni suono che emette), ma non sembra aver smarrito la verve e la brillantezza che lo accompagnano sin dalla tenera età.

Ecco, nel lavoro presentato al 74° Festival di Cannes (in Premiere), disponibile su Prime Video dal 6 agosto, emerge con forza la natura di un uomo che ha preferito barattare la celebrità ottenuta comodamente con il desiderio di lasciare un segno in maniera non effimera.

Ma in Val non c’è solamente il percorso di una carriera comunque lunga oltre 30 anni (più giovane del tempo ad essere ammesso alla Julliard, l’ascesa negli anni ’80, con Top Secret! e Top Gun, il ruolo della vita nel ’91 nel controverso The Doors, nel ’93 Tombstone – che ancora oggi proiettano in Texas su schermi montati all’aperto, nel deserto – poi nel ’95 la deludente esperienza in Batman Forever – “con quella tuta addosso non sentivo neanche la voce degli altri attori” – e la soddisfazione di prender parte al capolavoro Heat – La sfida di Michael Mann, al fianco di De Niro e Pacino), piuttosto la storia di un uomo – narrata in prima persona ma dalla voce del secondogenito Jack – che ha cercato in ogni modo di affrancarsi dallo stereotipo dell’attore come “semplice” strumento nelle mani di qualcun altro.

Sarà per quella sfrenata fantasia che già durante l’infanzia trovava sfogo insieme ai due fratelli, soprattutto con il minore Wesley (affogato tragicamente a causa di un attacco epilettico a soli 15 anni), quando nel ranch di famiglia realizzavano filmini amatoriali parodiando o replicando le scene di altri titoli (come Lo squalo, ad esempio), di fatto anticipando l’idea del magnifico (e sottovalutato) Be Kind Rewind di Michel Gondry (2008), sarà per quella mania di riprendere sempre tutto (e grazie alla quale lo ritroviamo, insieme agli altrettanto giovanissimi Kevin Bacon e Sean Penn, nei camerini di Broadway nel 1983 prima della messa in scena di The Slab Boys, oppure anni dopo – nel ’96 – sul set australiano del maledetto L’isola perduta, tra le ultime apparizioni di un ormai irriconoscibile Marlon Brando – discutere animatamente con il regista John Frankenheimer), Kilmer non è mai rimasto nelle retrovie, neanche quando era chiamato ad interpretare piccoli ruoli.

Perché, come ricorda lui stesso, citando Stanislavskij, “non esistono piccole parti, ma solo piccoli attori”. E allora, dopo Il santo (1997), forse ultima vera produzione dove è riuscito davvero a sentirsi attore, e dopo il successivo decennio tra alti (pochi) e bassi di numerosissime lavorazioni – c’è da pensare anche ai debiti accumulati per colpa del padre, purtroppo – vede la luce, intorno al 2012, il frutto di un’idea che coltivava da tempo (e che sarebbe dovuto diventare un film, un giorno), Citizen Twain, spettacolo teatrale in cui l’attore veste i panni del celebre scrittore americano, trasponendo ai giorni nostri quel sagace umorismo.

Ed è proprio grazie a quegli one-man show che conosce il montatore Leo Scott, ingaggiato per aiutarlo a montare le riprese dello spettacolo. Inserito, anche quello naturalmente, in Val. Perché ogni cosa merita di essere raccontata. E filmata.