Che lo si chiami cine-cocomero o, come vogliono i suoi inventori, cine-ombrellone, la sostanza non cambia: il posto al sole del cinema italiano può attendere. Volevano le sale piene d'estate i Vanzina. Competere con i blockbuster americani che esplodono insieme alla canicola. Ma se il made in Italy di stagione deve essere questo, meglio lasciar perdere. Un'estate al mare (ma il mare nel film non si vede) è come un cine-panettone a maniche corte: caratteri antidiluviani che spaziano dal cornuto (Banfi) al burino (Salvi, Brignano), dal cialtrone (Greggio, Izzo) al tifoso (Ceccherini); sventole sopra il metro e settanta che lavorano di sottrazione (chiedete al sarto); cabaret da bar coatto e comici di riporto (eccezion fatta per Proietti, il solo a cui giova ripetersi). Immancabile la furbata, come quel pò d'amarezza che marca ogni episodio (sette in tutto), per ribadire che la nazione è depressa e la farsa non è così greve. D'altronde, a sentire i Vanzina, il procedimento non è diverso da quello adoperato dai maestri. Quando in effetti è l'opposto: i vari Risi, Loy, Comencini (qui puntualmente citati), ricavando il ridicolo da una precisa idea del Paese; i Vanzina ricavando un Paese (quale?) da una vaga idea del ridicolo. Oltraggi, più che omaggi, alla commedia che fu.