Realizzare film in serie non significa farli tutti uguali. Così Underworld: Il risveglio - quarto episodio della saga con la vampira guerriera Kate Beckinsale (qualche ruga in più sul viso, ma sempre significativa dentro l'aderentissima tuta nera in latex) - propone un paio di novità giusto per rifarsi il look. Abbandonata l'autoreferenzialità di vaghi e lontanissimi scenari medievali, la guerra tra vampiri e lycans divampa nel mondo moderno e in mezzo agli uomini. I quali - ma questa non è una notizia - si rivelano una specie anche più fetente e sanguinaria delle altre due, trattate dai nostri alla stregua d'infezioni da debellare.
Tutto questo ci viene spiegato nel caotico prologo che è anche un utile ripasso dei precedenti episodi.
Nel parapiglia genocida, di strade a fuoco e forconi in mano, la bella Selene (Kate Beckinsale) e l'amato ibrido - metà vampiro e metà licantropo - Michael (Scott Speedman) vengono catturati e messi nel congelatore di Antigen, una potente compagnia biotech impegnata a sviluppare un vaccino contro i virus che hanno creato gli abominevoli. Il laboratorio è diretto dal sinistro Stephen Rea. Quando Selene si sveglia dallo stato criogenico sono passati 12 anni, gran parte di vampiri e lycans è stata sterminata e anche Michael pare aver avuto le sue sfortune. Ma la sorpresa più grande per la vampiressa è la scoperta - ecco la seconda decisiva novità della saga - che nel frattempo da quell'amore è nata una figlia (India Eisley), ibrida anche lei, su cui tutti vogliono mettere le mani perché destinata a grandi cose. Come dire, anche nelle alte sfere degli uomini non la raccontano giusta.
Insomma scontri razziali, biotecnologie, complotti e madri contro-natura: in questo Risveglio orchestrato dagli svedesi Marlind & Stein (Storm) c'è di tutto e di più, persino il 3D per chi se ne fosse accorto (noi no). Fuffa comunque. L'unica cosa che resta è che non resta nulla alla fine, ed è giusto così. Underworld 4 è, come i suoi precedenti, cinema-snack, un break da consumare in un ipotetico giorno qualunque. Asciutto, veloce, cupo, ingrugnato e un tantino pulp (ma non tanto da rischiare eventuali divieti), è la messa in serie di scontri videoludici dentro un'estetica da videoclip, dialoghi meccanici, botte incredibili e ammucchiate sparatutto. Si esce dalla sala al netto dei rimpianti e senza nulla da dire. Fatidica domanda a parte: "Ci facciamo una birra?".