Una vita spericolata, una vita come quelle dei film… con queste parole in mente Marco Ponti dichiara di essersi messo al lavoro sul suo ultimo film, provando a immaginare una storia che avrebbe potuto divertire i due protagonisti del suo Santa Maradona, vecchio ormai 17 anni. E in questi 17 anni di cose ne sono cambiate: i social, la crisi, il terrorismo, la TAV…

Ponti getta tutto nel calderone, impastando insieme vari problemi con un tono da chiacchiere da bar. Quel che ne viene fuori è un film che vuole strizzare l'occhio al pulp tarantiniano e alle pallottole di Guy Ritchie ma che, nel suo percorso on the road, tra scenette grottesche e citazioni dantesche, mischia troppe tematiche senza riuscire a gestirne in modo convincente il caos.

 

Tutto ha inizio quando Rossi (Lorenzo Richelmy) tenta senza successo di ottenere un prestito in banca e viene scambiato per un rapinatore: gli vengono letteralmente messi in mano 20 milioni di euro e un ostaggio gli si getta tra le braccia. Travolto dagli eventi non ha la forza di chiarire l’equivoco e scappa goffamente col bottino, complici l’amico d’infanzia BB (Eugenio Franceschini) e la Miss-attrice Soledad (Matilda De Angelis), fintasi ostaggio con l’obiettivo di rilanciare la sua carriera in declino. Ma se la fuga dei tre protagonisti è goffa, ancor più goffamente affrontano la situazione polizia e carabinieri, e così nel frattempo i tre ci prendono gusto e decidono di provare a volgere le cose in loro favore…

Nel corso del loro viaggio lungo lo stivale – dalle montagne di Sestriere al mare di Santa Maria di Leuca – Rossi, BB e Soledad avranno a che fare con un capitano dei carabinieri drogato e scorretto e con una cricca criminale capitanata da una donna spietata. Sul percorso lasciano mazzi di banconote a chiunque se li meriti: dei novelli Robin Hood insomma, che in realtà non fanno altro che crogiolarsi nel ruolo piovutogli addosso. Scappando dalla banca rapinata Rossi consegna ai microfoni dei giornalisti che lo intervistano le parole di Bernie Sanders ascoltate distrattamente in tv: “la società non può sopravvivere quando pochi hanno tantissimo e molti non hanno niente… credo”.

Ma sono parole che suonano vuote sulle labbra di questo anti-eroe, acclamato esageratamente da chiunque lo incontri nel suo percorso. I personaggi non trovano infatti un proprio centro e le uniche che agiscono secondo una precisa intenzionalità, forse non casualmente, sono le donne: Soledad e la boss Castiglioni.

Facendo leva sull’assurdità degli eventi Ponti sembra non calibrare bene il tiro, e finisce per forzare eccessivamente le situazioni, cadendo nel grottesco e nel macchiettistico senza che gli abbondanti cliché, in pochi casi ribaltati, riescano a divertire...

 

Nella scena finale del film Soledad definisce i giorni della fuga come i più belli della propria vita: è la canonica riflessione sulle difficoltà affrontate, ma anche sul sentimento di rinascita dovuto all’allontanamento da convenzioni sociali che stanno strette, al tentativo di stravolgere un sistema che tutto fagocita. Però qui gli elementi della miscela risultano allo spettatore male amalgamati e i giorni della fuga in qualche modo poco credibili in quanto viaggio di formazione verso una libertà rigenerante. Nella presunta assurdità del film è infatti tutto talmente codificato, prevedibile e macchinoso da rendere a malapena l’idea di un flusso di vita veramente incontrollato e spericolato.