Una sorta di Le cronache di Narnia in versione ridotta e non epica-spettacolare, con più realtà quotidiana e uno spiritualismo "new age" al posto del simbolismo cristiano di C.Lewis. Un ponte per Terabithia di Gabor Csupo, dai produttori delle Cronache, è tratto dal romanzo di Katherine Paterson (1977). Jess e Lesley sono due 13enni. Lui disegna visioni fantasy, lei ha una fervida immaginazione. Sono vicini di casa (con genitori distratti) e subiscono il bullismo a scuola. Nasce l'amicizia e con essa anche Terabithia, cioè il bosco vicino casa che loro trasfigurano con la bacchetta magica del pensiero. Al posto dell'armadio di Narnia, qui l'accesso è un guado da superare aggrappati a una corda. Nel regno immaginario i due si sentono come un re e una regina. Gradualmente s'imbattono in un bestiario di troll, giganti, insetti-guerrieri, etc., ma il regista usa col contagocce la visionarietà da Tolkien e Lewis. Sottolinea invece la forza interiore che scaturisce dall'amicizia, capace di animare i disegni di Jess (i titoli di testa), di vincere le avversità concrete e di entrare in sintonia con la Natura: "Chiudi gli occhi e spalanca la mente", dice lei all'amico. Più che Narnia, il film ricorda Creature del cielo di P.Jackson (lì in chiave morbosa e distruttiva). E Csupo aveva già coinvolto i piccoli Rugrats in un'avventura iniziatica nel bosco. L'evento tragico di Un ponte per Terabithia non annulla il lieto fine che riconcilia realtà e fantasia. Lesley non è morta invano. Veniva da una famiglia di scrittori, non religiosi. Eppure è lei, nella scena in chiesa, a raccogliere in una borsa l'azzurro raggio di luce che filtra dalla finestra...