Al telefono, con piglio e brio che non appartengono all’anagrafe che dichiara 86 anni, Ultimina (al secolo Capecchi) parla spiccia e pratica del da farsi di un (nuovo, ennesimo) giorno che si apre nel moto perpetuo che l’attende.

Già in Lorello e Brunello, il documentario precedentemente raccolto da Jacopo Quadri in terra di Maremma, a Sovana (Grosseto), in un’opera di “silenzi” forte era la presenza di Ultimina; la sua voce irrefrenabile, in eterno movimento, colpiva, conquistando con una naturale simpatia; una forza “narrativa”, una carica umana che apriva e chiudeva il racconto di una campagna in via d’estinzione, di oblio, che l’occhio sensibile e attento di Quadri cercava di trattenere, scolpendola nel tempo, reclamandone dignità.

Rimasto sospeso il tanto che poteva donare quella donna caparbia e desiderosa di raccontare, condividere, il volto uno scrigno solcato dalle rughe degli anni, aperto in un sorriso generoso e accogliente, l’anno successivo a Lorello e Brunello Quadri aveva iniziato a seguire Ultimina, accompagnato da una mini troupe - Greta De Lazzaris alla fotografia, Nicolò Tettamanti al suono - per poterne conservare la memoria, registrarne il procedere.

Solo dopo aver iniziato a scavare nella sua storia, di donna cresciuta nelle privazioni, anche di affetti, da parte della famiglia; un marito, Goito, sposato troppo giovane, lei a 17 anni, lui a 20, dedito all’alcool, e per questo dovendo lavorare anche per lui, il doppio, è nata la volontà di farne un documentario prodotto da Ubulibri in collaborazione con Rai Cinema, ora in concorso all’International Documentary Film Festival (IDFA) di Amsterdam, il più importante festival di documentari al mondo (16 novembre/6 dicembre).

Uno sguardo profondo verso il femminile quello di Quadri che aveva già fatto decifrare con l’opera sperimentale Marisa (2000), dal nome della madre, Marisa Rusconi, a cui dedicava il breve documentario (quasi 9 minuti), in cui a filmati d’archivio RAI di argomento migratorio univa frammenti di riprese in Super 8 girati dal padre (Franco Quadri, critico e studioso di teatro tra i più celebri in Italia e non solo), e immagini e suoni registrati dal regista negli ultimi mesi di vita della mamma.

Proprio munito di quell’attenzione, di quell’affetto lì presenti, l’autore, che ricordiamo pluripremiato per la sua opera al montaggio di grandissimi (Bernardo Bertolucci, Mario Martone, Gianfranco Rosi, Marco Bechis, Paolo Virzì, Zhang Yuan, Apichatpong Weerasethakul, per citarne alcuni) segue attentamente, in silenzio, la giornata di Ultimina, il suo camminare chilometri: per arrivare al cimitero e salutare marito e gli altri (non) affetti ospitati; attraverso la campagna; curando l’orto.

In inquadrature nette, dal respiro essenziale, ascolta il suo racconto fatto di ricordi, sostenuto da foto che Ultimina tira fuori dall’album di istantanee del suo passato, che si ripuliscono della patina sbiadita del dimenticatoio, divenendo qui e ora grazie alla sua freschezza, alla sua umanità.

La natura è testimone, e generosamente si fa riprendere, anch’essa protagonista; il suo suono che, come quello del quotidiano, ne è unica colonna sonora, a parte un solo, folgorante momento, dove si aprono gli accordi di Valerio Vigliar, ormai compagno di viaggio abituale di Jacopo Quadri.

“Ultimina è elegante, non ha rancori, ma se tornasse indietro avrebbe voluto aiutare le altre donne a non farsi sottomettere”, dichiarano le note di regia. La voce di Ultimina che sembra racchiudere quella di tutte le donne che subiscono, e che si fanno carico della Famiglia, e della Società che è spesso un passo indietro; l’uomo che poteva tutto, la donna che doveva dare del Voi, accettare senza alzare la testa, altrimenti riabbassata a suon di sberle. “Ma se potessi tornare indietro, io le aiuterei, quelle donne, a non subire più. Se l’avessero dato a me, uno schiaffo, glielo avrei restituito. Vedi quanto ero cattiva?” dice mentre la macchina da presa (la) conserva per sempre, lei non curante di quella macchina da presa.

A poco a poco quell’irrefrenabile movimento sembra frenarsi. Volgendo al crepuscolo il giorno, seduta al tavolo della sua casa ordinata e pulita, curandosi con degli impacchi quegli occhi che tutto hanno trattenuto nel corso degli anni, guarda chi le sta dedicando affetto e attenzione, invitando ad assaporare un po’ di quiete con lei, il viso che inizia a schiudersi come un fiore in un sorriso.