Apocalisse alle porte. Da oltre 50 anni. C'è un'ossessione, persino un piacere, da parte del cinema americano di evocarla. Più che un remake del film di Wise, l'Ultimatum alla terra di Scott Derrickson (The Exorcism of Emily Rose) è un rimpasto di vecchio e nuovo catastrofismo. Dell'originale solo i nomi dei personaggi, l'attracco alieno a Central Park, la paranoia strisciante. Il film del '51 funziona da cornice, dentro il quadro è variopinto. C'è Keanu Reeves, diafano e zen come ai tempi di Matrix; Jennifer Connelly in scia con la tradizione di scienziate coraggiose che hanno colorato di "rosa" il disaster movie più recente; la sfera al posto dell'astronave, come l'aveva pensata Crichton; il robot, Iron Man sagomato, contro cui nulla possono le armi di distruzione umane. Pochi esempi, il gioco dei rimandi è più ampio. Questa natura di seconda mano, quasi un carillon di tutto il fantapocalittico, è la cosa più interessante del film e - dabbenaggini di sceneggiatura a parte - il suo limite. Traccia un margine oltre il quale l'immaginario va ripensato. Tutto ciò che era stato pre-visto è accaduto. Non al cinema, nel reale. L'11/9 ha generato immagini di un'apocalisse che hanno oltrepassato qualsiasi spettacolo hollywoodiano. Il ground zero del cinema catastrofista. Non a caso la trovata più geniale del remake è la raffigurazione della forza distruttrice: una nube nera di detriti e polvere che non può non ricordare l'enorme pulviscolo seguito al crollo delle torri. A dimostrazione di quanto la realtà abbia superato l'immaginazione. E di come, più che alla terra, questo nuovo Ultimatum sia rivolto alla fantascienza.