Un insegnante di musica tedesco, Winfried (Peter Simonischek, attore austriaco di teatro), si preoccupa per la vita grama della figlia Ines (Sandra Huller), che lavora per una società di revisione a Bucarest, e pensa solo alla carriera. Alla morte del suo amato cane, Winfried si prende un mese di ferie e parte per Bucarest, dove bersaglierà la figlia con una serie interminabile di scherzi, sotto le mentite spoglie di Toni Erdmann, che oltre la marchio di casa, dei denti finti, indossa anche una inverosimile parrucca. Spacciandosi per uomo d’affari o ambasciatore tedesco, Toni creerà non pochi problemi lavorativi a Ines, che dopo aver cercato prima di allontanarlo e poi di fare buon viso a cattivo gioco, arriverà a prendere consapevolezza  che più di qualcosa, nella sua vita fatta di tantissimo lavoro, cattivo sesso, amicizie interessate e qualche riga di coca, non va.

E’ Vi presento Toni Erdmann, opera seconda scritta e diretta dalla 39enne tedesca Maren Ade, in concorso a Cannes 69, trionfatore agli Oscar europei e candidato come miglior film straniero ai recenti Academy Awards. Una commedia sui generis, che utilizza lo scherzo e la burla, il nonsense e l’assurdo diegeticamente per prendersi gioco della povera e seriosa Ines e metalinguisticamente per farsi beffe del cinema d’autore serioso e troppo compreso di sé.

Se sul primo livello, a parte qualche stracca di sceneggiatura (dura quasi tre ore, si potevano tagliare 50 minuti senza dolo) e qualche iterazione di troppo, si ride genuinamente della stigmatizzazione del carrierismo e dell’(in)esistenza workaholic, la riuscita sul secondo livello spiega, a nostro avviso, l’inserimento in Concorso in un festival che ha fatto della politique des auteurs, detta anche collezione di figurine, il proprio cavallo di battaglia.

Ottimi i due protagonisti: Simonischek mette anima, istrionismo e parrucco nella sua paterna persecuzione, e Sandra Huller è indomita – le scene di nudo: ha un corpo flaccido, ci vuol ancor più coraggio a mostrarlo – ha tanti registri e sfumature e regala un karaoke, dove canta la cover di The Greatest Love of All di Whitney Houston, da brividi, bloccando lo spettatore tra imbarazzo e ammirazione.

Non tutto funziona nel film, ci mancherebbe, e la paternalistica spiega finale di Winfried lascia non i denti finti ma l’amaro in bocca, eppure, Toni Erdmann è un ufo sincero, feroce e tenero insieme, sballato ed estenuante, in definitiva, originale. Di questi tempi, è (quasi) tutto. O credete che prendere per i fondelli il dramma (sociale) d’autore sia un gioco da ragazzi?