All’origine di Tigers c’è All'ombra di San Siro, l'autobiografia di Martin Bengtsson, astro nascente del calcio che, dopo aver entusiasmato i talent scout di mezza Europa, nel 2003 approdò all’Inter. Sembrava l’inizio di una carriera folgorante, punto d’arrivo di un percorso fatto di rinunce e sacrifici: invece, all’improvviso, qualcosa si ruppe e un giorno, sulle note di David Bowie, tentò il suicidio tagliandosi le vene.

Una storia più inquietante e stratificata, che Ronnie Sandahl – già sceneggiatore di Borg McEnroe e al secondo film da regista dopo l’acclamato Svenskjävel – rievoca individuando la chiave per accadere alla vita interiore del ragazzo raccontandone lo spaesamento. Attorno a questo tema sviluppa un film difficile e doloroso (in concorso ad Alice nella Città, presentato in coproduzione con la Festa del Cinema di Roma) che pone al centro un personaggio travolto dagli effetti di una vita che non corrisponde a quella immaginata.

Catapultato in una realtà dove il risultato e la competizione sono non solo prioritari rispetto al resto, il diciassettenne Martin si ritrova a cercare disperatamente un equilibrio tra le aspettative altrui e i demoni personali, le paranoie e le ansie, l'incapacità di sentirsi accettato dai compagni e la scoperta del corpo che coincide con il desiderio e l’amore.

Sandahl misura la sua anima tormentata con il metro della progressiva conquista della lingua italiana. È una strategia con cui permette di interpretare lo smarrimento del giovane svedese e leggerlo attraverso il diaframma del disorientamento: nell’apprendimento ci sono i segni di una consuetudine alla disciplina (è pur sempre uno che risveglia il fisico nelle tinozze piene di ghiaccio) ma anche le avvisaglie di un’identità sospesa tra l’abitudine a eseguire gli ordini e la volontà di andare oltre i limiti imposti.

Per crescere, scoprirsi diverso, immaginarsi altro, sfidare la paura, mentre il sangue sgorga dall’apparecchio letteralmente strappato dai denti con una pinza. In un percorso di formazione caratterizzato da quegli stati d’alterazione tipici delle notti brave, Tigers riesce a montare la tensione facendoci calare nella depressione di un ragazzo che è arrivato al limite della sopportazione.

Il calcio è l’arena e, se è pur vero che potrebbe essere ambientato in altri contesti parimenti competitivi, è vero anche che si tratta di un settore che come pochi altri tende ad annullare il perturbante, annacquare le complessità, sotterrare le angosce. E, sì, un “padrino” mellifluo come Maurizio Lombardi (attore sempre più irrinunciabile per rappresentare un tipo di caratterista all’occorrenza villain) si può trovare ovunque, ma è essenziale che sia un dirigente calcistico. La storia vera, certo, Tigers non inventa niente: ma che precisione nel raccontare le ombre di quel mondo.