Talvolta un film ti si presenta davanti agli occhi come un oggetto del quale non vorresti cambiare nulla: la plasticità quasi invisibile della ripresa, il controllo infinitesimale su ogni dettaglio descrittivo, l'intensità della drammaturgia. L'ultimo Eastwood di Million Dollar Baby o il Wong Kar-wai di Hong Kong Express richiamano questa categoria confusa estremamente legata al sentire personale a quella spesso irrisolta crisi del cinefilo in debito di emozioni da provare davanti allo schermo. Hou Hsiao-Hsien lavora proprio sul crinale pericolosissimo dell'estetizzazione fine a sé stessa, del capolavoro che oseremmo definire sensoriale. Così molti critici che lavorano sull'immediatezza dell'attimo non fanno altro che cercare particolari oggettivi di una trama che a loro avviso pare abbia perso pezzi esplicativi per strada, quando invece il calcolo del creatore è millimetrico e totale e l'amalgama tra la verosimiglianza del narrato e l'ispirazione poetica spesso irrazionale si fondono in un unicum difficilmente replicabile. Certo, le richieste agli attori (Shu Qi è l'angelo della bellezza) da parte di Hou sono estremamente riconducibili sul terreno della classicità recitativa, della dannazione e maledizione del personaggio, che spesso sfiora il cliché. Ma è proprio sul terreno del minimo distacco, dello scarto, dall'atto ripetitivo della stereotipizzazione del personaggio che si misura la poeticità del gesto artistico. Bisogna però agire sinceramente, porsi in forma pura dietro la macchina da presa e rielaborare la materia filmica, senza pensare alla fama o alla gloria conquistata sui campi di battaglia dei festival passati. Hou lo ha fatto a sessant'anni (un po' come Eastwood) e i risultati sono davanti agli occhi di tutti. L'immagine si appropria dell'animo spettatoriale proprio nel momento in cui è costretta a confrontarsi con la caducità del tempo perduto, il cancellarsi sotterraneo dei ricordi, la fugacità dei sentimenti amorosi. Gli episodi di Three Times (Il tempo dell'amore - 1966, Il tempo della libertà - 1911, Il tempo della giovinezza - 2005) sono tableaux vivants di rarissima finezza compositiva, sono la ricerca del minimo comune denominatore dell'essenza diacronica del tempo che per Hou Hsiao-Hsien si chiama cinema.