A Berlino 2007 aveva portato l'incerto I'm a Cyborg, But That's OK (non distribuito in Italia), a Cannes due anni dopo lo ritroviamo con Thirst, ugualmente surreale, dark, ironico, e deludente. Lontani i tempi della vendetta - la trilogia Mr Vendetta (2002), Old Boy (2004, Gran Premio della Giuria a Cannes) e Lady Vendetta (2005) - il coreano da esportazione Park Chan-wook oggi vive di rendita, ovvero dissemina brandelli della crudele radicalita' - soprattutto stilistica - che l'ha reso di culto su tele meno cupe e meno ambiziose.
Progetto accarezzato da 10 anni, Thirst ha per protagonista Sang-hyun (Song Kang-ho), prete impiegato in un ospedale di una piccola città, che parte per l'Africa e si offre volontario per testare un vaccino per il terribile Emmanuel Virus. Ma l'esperimento fallisce, Sang-hyun muore e risorge miracolosamente, trasformato in vampiro: nelle nuove vesti, iniziera' una relazione sessuale con Tae-ju, moglie dell'amico Kang- woo, con inevitabili "fatti di sangue".
Questo in 133 lunghissimi minuti, in cui Park insegue vanamente un ubi consistam poetico, ovvero un mix risolto di dark e humour, vampire-movie - per sua sfortuna, oggi genere super frequentato... - e commedia sentimentale. Non mancano battute e scene che strappano risate e applausi, ma sono tasselli in un puzzle senza definizione, che non mantiene lo scandalo annunciato della vigilia ne' aggiunge nulla di rilevante al cursus honorum del regista. Anzi, dopo I'm a Cyborg, But That's OK ne conferma l'involuzione, innanzitutto tematica: esaurito il filone "giustizialista", Park non ha ancora trovato un Leitmotiv degno di un'altra trilogia o comunque di un'esplorazione dagli esiti artisticamente felici.
Nota a margine: in tempi di crisi economica, il cinema d'autore si aggrappa sempre piu' spesso ai generi, per "andare sul sicuro" e non tradire le aspettative di intrattenimento del pubblico. Ma per quanto visto finora sulla Croisette (Bright Star, Thirst e Taking Woodstock), non e' detto sia uno scacciacrisi, almeno per il cinema.