Nord-America, fine '800: una piccola comunità vive isolata dal mondo, circondata da un bosco popolato da misteriose creature innominabili. La vita scorre tranquilla, ma non si deve trasgredire il divieto: nessuno deve avventurarsi nel bosco, portare il colore rosso o parlare delle creature. Il giovane Lucius (Joaquin Phoenix) non accetta questa interdizione: vorrebbe raggiungere la città per procurarsi medicinali e merci che scarseggiano. Dall'autore di Signs, un film di sottile inquietudine, che acceca lo spettatore per condurlo a occhi chiusi in un labirinto pauroso, come fa la non-vedente Ivy (Bryce Dallas Howard). La cecità non le impedisce di travalicare il confine (prerogativa dell'eroe secondo Lotman), forte del sesto senso dell'amore: il sistema chiuso della comunità verrà definitivamente demolito? Cinema claustrofobico, eppure il respiro di Shyamalan si avverte in ogni inquadratura: esasperando durata e complessità dei movimenti di macchina, il regista alza il film nei territori dell'iperrealismo magico per avere accesso alla porta del magico e all'incanto della favola. E con un'operazione dichiaratamente apolitica riesce a darci un'immagine dell'America post 11/9 più a fuoco di tanti altri "instant-movies" sul tema: forse la suspense che impregna gli spazi di The Village è la medesima avvertibile nel villaggio globale alla vigilia delle elezioni americane. Dopo la cine-inchiesta di Fahrenheit 9/11, l'agit-prop educational di The Corporation e il mockumentary ad effetto di September Tapes, per The Village si può legittimamente parlare di docu-immaginazione.