In un festival appariscentemente intriso di morti lutti e commemorazioni funebri in Concorso arriva un esordio confuso e mortifero. Ahmed Maher accede al primo lungometraggio di finzione con un progetto dalle dichiarate ambizioni internazionali. Prodotto senza risparmi con risorse pubbliche e private, The Traveller segue la vicenda dell'impiegato Hassan cogliendo tre giorni decisivi nell'arco di più di cinquant'anni della sua grigia esistenza. Alla traiettoria personale di uomo mediocre, incapace di realizzare se stesso e i propri sogni, al doloroso triste destino della famiglia del di lui primo amore, si affianca e sovrappone, in trasparenza, non solo la storia di tutto l'Egitto ma anche una fetta cospicua del passato di quella parte del mondo arabo: dalla gaia spensieratezza di Port Said nel 1948, la giovinezza, al caotico e miserabile trambusto d'Alessandria nel 1973, la maturità, fino ai cupi giorni del Cairo appena scosso dai fatti dell'undici settembre 2001, la vecchiaia e la defintiva solitudine del protagonista.
Maher nel suo film sembra voler mettere tutto, accatastando effetti visivi, stili fotografici diversi e diversi ritmi di montaggio, costumi, trucchi digitali, volti e paesaggi con l'idea, forse, di comporre l'Heimat egiziano. Il film però avanza a fatica eccedendo oltre ogni ragionevole misura nell'uso delle dissolvenze, dimostrando a ogni trapasso narrativo l'approssimazione della scrittura che mette a contatto i tre episodi senza costruire un efficiente sistema di raccordi. Troppo di tutto perchè alla fine non l'abbia vinta lo spaesamento e la noia. A Omar Sharif l'ingrato compito di prestare corpo e volto all'Hassan vecchio, avvicinato dalla fugace apparizione del nipote Aly e incontrovertibilmente votato a una fine solitaria e disperata.