Si apre con le parole antiche e sempre attuali dell’Antigone di Sofocle, The Remains, il documentario che la regista belga Nathalie Borgers ha dedicato ai migranti del Mediterraneo. Un modo per sottolineare quanto la storia della donna che si oppose alla legge dello Stato perché opposta a quella del cuore sia una chiave decisiva per interpretare una delle più grandi tragedie contemporanee.

Migliaia sono le persone scomparse nei troppi naufragi degli ultimi decenni e migliaia sono i cari che li piangono senza avere una salma da onorare o un luogo dove piangere e commemorare. Chi aiuta a cercare i dispersi? Chi si prende cura dei troppi corpi non identificati? Come affrontano il lutto le famiglie?

Borgers intreccia due narrazioni parallele: la prima si concentra su coloro che si occupano di raccogliere i resti rinvenuti sulle rive dell’isola di Lesbo; la seconda racconta il dolore di una famiglia siriana che ha perso tredici parenti i cui corpi non sono mai stati trovati.

Alla lettera, The Remains significa i resti, le spoglie. Sono anche le cose lasciate da chi è morto e giace sul fondo mare e le tracce tangibili o meno che persistono nelle vite dei sopravvissuti. Sono i volontari e i parenti che rivendicano ostinatamente la persistenza dell’umanità in una società distratta con lo sguardo rivolto altrove.

Da una parte: vestiti, cellulari, arti. Dall’altra: ricordi, fotografie, telefonate. Sacchi neri che contengono brandelli di esistenze spezzate e testimonianze per ricostruire la vita prima della morte, le troppe lapidi per dare degna sepoltura alle vittime e l’infinita elaborazione di un lutto a cui manca un pezzo per compiersi.

È il mondo dopo l’odissea, come dice il sottotitolo, le conseguenze del viaggio alla ricerca di una possibile casa. Un film civile e toccante sui sommersi e i salvati, fatto di lacrime dignitose e onde che s’infrangono sui sassi alla riva, abbracci stretti da chi riconosce nel prossimo un dolore simile e fari che illuminano a intermittenza il mare nella notte dell’Europa.