“Alla fine, questo film è un classico western degli anni ’70, con la morale che qualsiasi cosa farai, buona o cattiva, finirai con il pagarla. Mi sono ispirato al film di Spielberg Duel e a Mad Max”.

Parola del regista Jean-Baptiste Leonetti, che confeziona un erede, meglio, un “derivato” non disprezzabile, soprattutto perché esce in una stagione, quella estiva, che da noi in sala  è sinonimo di occhio malocchio: The Reach - Caccia all’uomo, con il riccone Michael Douglas che a bordo del  fantasmagorico G63 AMG 6x6, il carrarmato Mercedes con cui l’ex calciatore del Milan Muntari sfrecciava per Milano, bracca una guida 25enne nel deserto del Nevada.

Tratto dal romanzo di Robb White Deathwatch, The Reach ha negli interpreti - Douglas nei panni di un ultracapitalista che sta per vendere ai cinesi, Jeremy Irvine in quelli della “preda” – uno dei punti forti, insieme a una regia senza troppi fronzoli ma di utile servizio nel rendere al meglio la fragorosa bellezza del paesaggio: il deserto del Nevada, la Shiprock Mountain dei Navajo, sono davvero uno spettacolo, location ideali e credibilissimi per la lotta per la sopravvivenza.

Perfettibile – eufemismo – è, viceversa, la sceneggiatura di Stephen Susco (The Grudge), che non ha con realtà e verosimiglianza una relazione felice: non tanto nel gioco tra gatto e topo di Douglas e Irvine, quanto nelle dinamiche poliziesche e, ancor più, nella trattativa economica via telefono satellitare dell’uomo di affari. Eppure, non ce ne curiamo troppo, e c’è una ragione: il mega-fuoristrada Mercedes ruba la scena a tutti, anzi, si prende il film. O dobbiamo chiamarlo spottone?