La premessa dell’ultimo lavoro di Nicholas McCarthy è molto semplice. Il giorno della morte di un perverso assassino coincide con la nascita prematura di un bambino, Miles. La regia stessa si prodiga per evadere, sin da subito, ogni dubbio nello spettatore: l’anima del primo si è insinuata nel corpicino neonato del secondo. Dirci a cosa porterà questa convivenza forzata, è compito del resto della pellicola.

Un compito svolto, per un primo terzo del film, senza grande impegno. Vediamo Miles crescere in fretta e dotato di un’intelligenza fuori dal comune, ma anche soggetto a strani sbalzi di umore.

Peccato che, visto letteralmente l’antefatto, non sia affatto una sorpresa. Il ritmo prende la rincorsa, affaticato per il suo stesso slancio iniziale, e il film non ingrana fino alla seconda metà.

Si instaura poi, però, nel mezzo di un citazionismo volutamente messo in mostra (riferimenti a L’esorcista e altre pellicole di possessione infantile si sprecano), un rapporto tra l’edipico e l’empatico che funziona.

Come deve sentirsi una madre che scopre, nemmeno troppo lentamente, di aver partorito una minaccia, per sé e per gli altri? Dove nascondersi dalla creatura che, più di ogni altra, si ama senza riserve?

La tensione, nella seconda parte, si mantiene alta e incastra una serie di colpi efficaci. Fatta eccezione per qualche eccesso di sceneggiatura, esagerato o, al contrario, non abbastanza sviluppato, il conflitto ansiogeno madre-figlio funziona in quanto non se ne vede possibile uscita.

 

Sarah, la Taylor Schilling di Orange is the new black, fatica un po’ nell’interpretare una parte difficile ma il suo personaggio sembra comunque disposto a tutto, pur di salvare Miles. Quest’ultimo, il Jackson Robert Scott “conosciuto” come Georgie nel recente It di Muschietti, ha la strada più spianata: niente fa paura come l’immagine innocente di un bambino, abitata da crudeltà e perversione.

Purtroppo, dopo aver puntato alto su un finale fuori dagli schemi, il film non è all’altezza delle sue premesse, o promesse, e si sgonfia rapidamente con un deus ex machina troppo, troppo facile. Un difetto, questo, sottolinea peraltro l’assenza di un messaggio più profondo: caratteristica piuttosto comune, per gli horror recenti, ma che inizia a pesare a sei giorni dall’uscita di Noi.