Maryam (Mila Alzahrani ) è una giovane dottoressa impiegata in una piccola clinica in Arabia Saudita: il rispetto di pazienti, colleghi e superiori è da guadagnarsi, ogni giorno. Per fortuna, non è sola: le sorelle sono complici, il padre musicista affettuoso. La svolta è fortuita: Maryam si imbatte nel modulo di candidatura alle elezioni cittadine e decide di parteciparvi. Mentre il padre è in tour per la prima serie di concerti pubblici autorizzati nel Regno da decenni, arruola le due sorelle più giovani per gestire la raccolta fondi e organizzare la sua campagna elettorale: non è facile, ma la candidatura prende piede e sfida le istanze più retrive della società. Riuscirà Maryam, donna, medico e ancor prima cittadina, a essere eletta?

Prima regista dell’Arabia saudita, il suo primo lungometraggio, Wadjda (La bicicletta verde), fu presentato a Venezia nel 2012 in Orizzonti, Haifaa al Mansour ha poi diretto il dimenticabile Mary Shelley con Elle Fanning, ora torna al proprio Paese e a Venezia con The Perfect Candidate, che corre per il Leone.

Il tema, la partecipazione alle elezioni (comunali) delle donne sia come elettrici che come candidate avvenuta in Arabia Saudita nel 2015 nella prima consultazione a suffragio universale, è centrale, e la regista e sceneggiatrice cerca di non farne un discorso a tesi, bensì di incarnarlo con empatia e delicatezza in Maryam e la sua lotta per “sentirsi qualcuno”: preziose le intenzioni, meno gli esiti, in cui l’esibita semplicità del racconto spesso s’accompagna al semplicismo della storia, tanto edificante quanto morbida, anzi, ammorbidita.

Il territorio poetico-stilistico è friabile, eredità soap scoperte, la volontà di indorare, per così, dire la pillola dell’apartheid di genere in Arabia trasparente: The Perfect Candidate si lascia vedere, gli spunti per farsi qui e là una risatina non mancano, ma nemmeno la sensazione che cinematograficamente e politicamente sia un’opera annacquata, se non innocua.