Sarajevo, 1914: un attentato all'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria è il pretesto della prima guerra mondiale. 1984: Olimpiadi invernali. Ponte tra l'Est comunista e l'Occidente "libero", una delle capitali della Jugoslavia non allineata, città gioiosa e bellissima, centro di quei Balcani mai pacificati, enclave di religioni, lingue, culture e imperi. 1992: la guerra civile jugoslava, iniziata con i referendum irredentisti di Slovenia e Croazia, entra con la sua rabbia cieca in questa città bomboniera. Bombe, crimini di guerra, cecchini, pulizia etnica (la Bosnia Erzegovina ha un'alta diversificazione di etnie e confessioni) non risparmiano nulla. Dopo Matador e la strana coppia omicidi Pierce Brosnan-Greg Kinnear, Richard Shepard torna con il suo stile irriverente e malizioso per raccontare la guerra in Bosnia. Simon Hunt (un istrionico, ottimo, stravolto Richard Gere), inviato di guerra, ha visto morire la donna che amava, bosniaca, in un frammento di questo genocidio e sbatte la verità sul muso di colleghi e spettatori e li manda a quel paese. Ci andrà lui: licenziato, diventa un free-lance rasato male che fa servizi per tv oscure di paesi improbabili. Il suo compare e operatore (Terrence Howard) si imborghesisce, fa carriera e si mette al seguito di un inviato che al massimo esce sul balcone dell'albergo 5 stelle che lo ospita. Simon, in nome dei vecchi tempi eroici, lo convince (la storia è vera!) a dare la caccia addirittura a Karadzic. Playboy, ubriaconi e avventurieri per un western rutilante alla Three Kings che racconta paranoie e follie dell'inviato di guerra not embedded come Hollywood mai ha fatto. Film tanto raffinato nella sua grettezza che lo capiranno in pochi.

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