Sarà capitato anche a voi. Tornare a casa in un orario insolito, scoprire una luce differente, sorprendervi di un particolare, poi un altro ancora, accorgervi che il mondo, intorno, offre migliaia di cose da niente, impossibili però da non contemplare.
E' lo spunto di The Exchange, opera seconda dell'israeliano Eran Kolirin, già regista de La banda: Oded (Rotem Keinan) riscopre la sua esistenza fino ad osservarla dall'esterno, partendo da un avvenimento fortuito. Il matrimonio, il lavoro, gli incontri in ascensore (sempre gli stessi, alla stessa ora): cambierà ogni cosa, perché a cambiare è la prospettiva, la diversa angolazione con cui Oded incomincerà ad osservarli. Senza essere visto: perché se è vero che puoi sorprendere la "routine d'osservazione", non è altrettanto pacifico che lo stesso riescano a farlo gli altri. E' questa, forse, la vera carta vincente del film di Kolirin, paradigma di una Mostra che, fino a questo momento, proprio nelle/sulle dinamiche dello sguardo/della percezione (da La talpa a Shame, da Terraferma ad Alpis, da Un été brulant a Wuthering Heights) ha impostato il suo fil rouge: per il resto, pur non abbandonando l'ironia e l'umorismo che contribuirono al successo de La banda, l'approdo del regista israeliano ad un cinema più concettuale, teorico, avrà bisogno di ulteriori verifiche. A tratti inaccessibile, insistito fino al parossismo, The Exchange rischia di restare intrappolato nello stesso esercizio (mentale, frutto di una riflessione sui "non luoghi" dello stesso regista) che ne ha caratterizzato la genesi.