La storia di Tilly Dunnage (Kate Wisnlet), bomba sexy, stilista ardita e sarta provetta: dopo l'apprendistato a Parigi e in mezza Europa, torna nella natia Australia per ritrovare la madre Molly (Judy David), quantomeno eccentrica. Nel villaggio di Dungatar, da cui se ne andò con l'accusa infamante di essere un'assassina, Tilly trova malelingue, invidia e cattiveria assortite, ma anche gli occhi blu, che fanno scopa con i suoi, di Teddy (Liam Hemsworth). Sarà amore, vendetta o che altro?

Campione di incassi in patria, in cartellone (Festa mobile) al 33esimo Festival di Torino e dal 28 aprile nelle nostre sale con Eagle Pictures, è The Dressmaker, diretto da Jocelyn Moorhouse, nel cast, accanto ai già nominati Winslet, Davis e Hemsworth, anche Hugo Weaving e Caroline Goodall. Troppo lungo 118', troppo incerto tra commedia e revenge movie, ovvero dramma, il film si bea dell'interpretazione di Kate Winslet e Judy Davis: sebbene brave e, la prima, sensuali d amorire, nondimento nemmeno loro riescono a farci interessare, figurarci appassionare, alla storia. Che strizza un occhio al pubblico gay, grazie al sergente Farrat di Weaving innamorato di stoffe e boa di struzzo e incline al travestitismo e la stessa Winslet che scimmiotta corpo e mise le femme fatale della Hollywood che fu, e l'altro all'haute couture, complici i costumi meravigliosi di Marion Boyce, la cosa migliore del film - non ci vuole molto.

Ma a parte le lungaggini, le sottotrame stantie e la farraginosità del plot (vendetta) principale, si sconta l'irresolutezza della sceneggiatura e della drammaturgia. Non bastano sequenze indovinate, come quella bruciante del finale, e siparietti a segno per  distoglierci dalla vera "maledizione" di The Dressmaker: l'abito non fa il film.