Washington, 1865: Abramo Lincoln viene assassinato da John Wilkes Booth. Sette uomini e una donna, Mary Surratt (Robin Wright senza Penn), proprietaria della pensione dove l'assassino si riuniva con gli altri cospiratori, vengono arrestati. L'accusa? Aver messo in atto un complotto per uccidere il Presidente, il Vice e il Segretario di Stato. La difesa della sudista Mary Surratt viene presa dal giovane avvocato Fredrick Aiken (James McAvoy), un valoroso ex soldato: pur nolente, progressivamente si convincerà dell'innocenza della donna, utilizzata quale capro espiatorio per arrivare a uno dei veri cospiratori, il figlio John.
Il campione (?) del liberalismo su grande schermo è tornato: Robert Redford dirige The Conspirator, riportando il suo monito politico alla Nascita di una nazione, quella americana, appunto. Ma traducendolo per l'oggi: l'assassinio di Lincoln e l'11 settembre, le misure straordinarie di allora e il Patriot Act, la caccia a quegli assassini e la guerra al terrore, con la solita Giustizia a farne le spese, la Legge a piegarsi come un giunco.
La Surratt non è colpevole, ma un colpevole, quello che serve perché gli States non deflagrino ancor prima di muovere i primi passi: Redford mette alla berlina la ragion di Stato, che non ha verità e giustizia per sinonimi. Ed esalta, viceversa, l'attaccamento alla verità dei fatti, l'indagine oltre ogni ragionevole dubbio e oltre ogni affinità elettiva, quella di un riluttante nordista per una sudista, cattolica e comunque strega, con la lettera scarlatta del patibolo già impressa sulla fronte.
Esemplare la storia, elementare, purtroppo, la regia, addirittura da nascita della settima arte più che di mero servizio al messaggio: Redford regista è questo, prendere o lasciare. Impossibile chiedergli di più, difficile staccarlo dalla politica edificante e dal monito civile per fargli fare due movimenti di macchina, due voli cinefili, qualche estroversione stilistica: rispetto a Leoni per agnelli, comunque, è tutta un'altra Storia, e c'è più cinema, ma come in una fiction-tv di medio-alto livello.
Di più no, sebbene come direttore d'attori sia un grande, ma nemmeno questo è il vero problema: più che un film-film, The Conspirator è un'operazione di sensibilizzazione politica e memoria civile, perché quanto accaduto alla Surratt non accada ora o, meglio, accada - verità dei fatti… - ma se ne sia consapevoli e pronti a insorgere. Ebbene, stante la bontà dell'assunto, su regia e fattura è lecito chiudere un occhio, a patto che l'operazione funzioni, il messaggio arrivi: ma chi l'ha visto?
Pochi, pochissimi americani: 11 milioni di incasso, a fronte dei 25 milioni di dollari di budget. Altro che The Conspirator, la cospirazione del silenzio. Anzi, del silenzio assenso: Redford non va.