Nel 1977 Bowie cantava che tutti possono essere eroi. Pochi anni dopo Warhol confermava: tutti  avranno i loro 15 minuti di celebrità. Ora le cose sono cambiate: è grasso che cola se avremo 15 minuti di privacy e, se proprio dobbiamo faticare per diventare qualcos'altro, meglio fare le cose in grande, meglio essere dei  supereroi.
Matthew Vaughn con Kick Ass partiva da qui: basta con mutazioni genetiche, basta con grandi lutti che cambiano la vita, basta con creature dallo spazio. L'unica cosa che serve per diventare supereroi è essere stufi di come vanno le cose. Ed essere arrabbiati. Super va oltre Kick Ass proprio in questo: mentre Vaughn fa finire tutto in un tripudio di cazzotti e bazooka, Super analizza la rabbia del protagonista, la osserva facendola diventare il paradigma del rodimento dell'uomo medio. Il protagonista Frank D'Arbo (Rainn Wilson) è arrabbiato perché un poco di buono (Kevin Bacon) gli ha portato via la moglie (Liv Tyler), approfittando della di lei tossicodipendenza. Ragni atomici? Stragi familiari? Esperimenti esagerati? Macché, solo tanta stanchezza!
E allora un costume per difendersi dietro all' anonimato/privacy, un'arma scelta con cura, e voilà: nasce Saetta Purpurea che insieme alla spalla Saettina (Ellen Page) cercherà di fare ordine nelle strade, senza capire che l'ordine va fatto prima nella propria vita.  Dopo l'esperienza alla Troma - che lascia il segno splatter anche in Super, rendendolo graficamente non adatto a tutti - James Gunn presenta il suo primo film “serio”. Che serio non è affatto, ma una sua profondità ce l'ha, eccome.
Super ci dimostra perché nella vita reale è così difficile essere come i tostissimi protagonisti dei giornaletti. Perché la vita va presa per intero, compreso tutto ciò che nei fumetti si trova tra una vignetta e l'altra. Che spesso è noia, dolore o tempo perso. Ma a volte è proprio lì che si nascondono i momenti migliori.