Assetate di libertà, cinque ragazze combattono per la giustizia, che non è purtroppo di questo mondo. L'altro, di mondo, è quello, visionario e roboante, nel quale Zack Snyder sostituisce i suoi Watchmen con un manipolo femminile e interrazziale capitanato dalla biondina Babydoll (Emily Browning), evocando una mitologia muscolare non più antica - come i 300 - ma futuristica, altrettanto belligerante e non priva di influssi moraleggianti. Nel cupo fulgore di cieli striati da fulmini e imbevuti di pioggia, Sucker-Baby se ne va in un manicomio: pena ingiusta, perché accusata da un patrigno orrido. Ricorrendo all'espediente della segmentazione dei sogni - come Inception faceva con altri propositi narrativi - il primo livello serve per evadere dalle mura tetre della prigione, che diventa un bordello, e il secondo per evadere ancora, in un altro sogno, dove combattere per conquistare gli strumenti dell'impossibile fuga. Tutti sono personaggi multipli che agiscono in una realtà capace di agguantare la fantasia per seminarvi simboli. Il film lascia giustamente a noi l'impegno della codifica: quando Baby chiude gli occhi per abbandonarsi alla sua danza invisibile e sognare i mondi paralleli popolati da samurai giganti, draghi, zombie guerrieri e cyborg, lo fa probabilmente per non vedere lei - e non far vedere a noi - le nuove violenze che tutte subiscono in quegli istanti terribili. Potere rivoluzionario del sogno: sarebbe piaciuto immensamente a Edgar Allan Poe, che di sogni paurosi se ne intendeva assai. Scriveva: "Tutto ciò che viviamo o sembriamo, non è altro che un sogno in un sogno". Cinema onnivoro, quello di Zack.