Così si apre la 26esima edizione della Settimana Internazionale della Critica, con un film di godimenti cinematografici senza grandi pretese, come si usava 30, 40 anni fa: con un film che si pensa per il pubblico e non si crede più di quello che è. Simon Kaijser da Silva - nato a Stoccolma e con cittadinanza svedese, diversamente da quello che il cognome esotico autorizzerebbe a pensare - viene dalla televisione: Stockholm East  è il suo primo lungometraggio cinematografico. Sarà che questo esordio da Silva forse lo aspettava da molto tempo, sarà invece che in pochi restano immuni dall'imprinting della televisione, fatto sta che il film è al medesimo tempo una traversata nella tradizione del dramma sentimentale cinematografico e una interessante raccolta di tic, d'indizi, di sintomi di un regista che il cinema l'ha imparato in/dalla tv.
Da Silva alterna con gusto e sicurezza colori, ritmi, registri del racconto mescolando già nell'incipit leggerezza, thrilling e tragedia e seguitando per tutto l'arco del film un denso impasto di eco vagamente nostalgiche. Che si tratti di un'operazione consapevole o no conta poco: lo spettatore “ingenuo” apprezza una narrazione sapida, tesa e precisa; quello “esperto” gode invece nell'esercizio automatico del riconoscimento.
Così succede che un racconto di morti e di risurrezioni, di colpe, di menzogne, di incontri e di abbandoni, ma soprattutto di grandi passioni gioca con le aspettative del pubblico, le suggerisce, le autorizza e poi le asseconda esattamente nel modo in cui il pubblico spera che accada. Ci sono solo due modi per annullare il potere distruttivo del luogo comune e del clichè:  la distanza distruttrice della parodia o l'aderenza assoluta della fede. Da Silva rientra nel secondo caso, eppure in qualche modo in questo suo primo cimento cinematografico sii vede anche una speciale forma di distanza: quella di chi cita il classico guardandolo da lontano. I difetti formali e qualche ingenuità nello script non bastano a cancellare la piacevole efficienza di questo film “per tutti”.