Preparate le scorte di Kleenex: Still Alice vi svuoterà gli occhi. Tratto dal romanzo di Lisa Genova, il film racconta l'abisso della malattia in cui sprofonda una professoressa universitaria (interpretata da una superba Julianne Moore), cui viene diagnosticata una forma precoce di Alzheimer. Il fatto che sia una donna ben istruita, perlopiù insegnante di linguistica, e che venga colpita dal morbo a un'età in cui non dovrebbe (Alice ha appena compiuto 50 anni), distingue in parte questo dramma da altre declinazioni "senili" sul tema, come Away From Her di Sarah Polley e Amour di Michael Haneke.

Inoltre, a differenza di quest'ultimi due che ponevano l'accento sulle ricadute relazionali della malattia, nel film di Wash Westmoreland e Richard Glatzer il focus è interno, l'ottica spostata principalmente sulla protagonista mentre cerca prima di comprendere, poi di venire a patti, infine di "sottrarsi" a un male terribile e mortificante che, come spiega la donna alla figlia Lydia, "a poco a poco ti strappa via da te stessa".

La scelta di Westmoreland e Glatzer finisce inevitabilmente per sacrificare un côté familiare vagamente esplosivo (sotto sotto covano egoismi, rivalità e gelosie) e per ridurre lo spazio dedicato ai suoi membri, tutti potenzialmente interessanti e interpretati da ottimi attori (Alec Baldwin, Kate Bosworth, Hunter Parris e - soprattutto - Kirsten Stewart, sempre più brava), ma si rivela efficace non solo perché ci dice qualcosa di più sulla malattia, ma perché con un'attrice come la Moore, in questo stato di forma, l'Alzheimer stesso diventa co-protagonista.

Il film utilizza una specie di soggettiva sdoppiata: la Alice sana, quella di un tempo, osserva la Alice di ora, sempre più assente e irriconoscibile. Funzionale in questo processo di focalizzazione l'uso insistito degli specchi - in cui l'identità si duplica e a volte si triplica - e quello della tecnologia, con la protagonista che usa il proprio smartphone o il pc per lasciarsi dei messaggi che la aiutino a ricordare.

Il progressivo scivolamento di Alice nello spazio bianco dove si cancellano parole, significati e ricordi, avviene senza la temuta enfasi melodrammatica, grazie a una messa in scena e a una performance oltremodo misurata. Ciò non impedisce a Still Alice di spaccare il cuore e alla sua magnifica interprete di bussare forte alla porta dell'Academy, nei confronti della quale la Moore vanta già un credito enorme: dopo quattro nomination andate a vuoto, questa non è solo la volta buona. Deve esserla.