L'attacco del violino è deciso e nervoso, e ben lo sapeva Camille Saint-Saëns che la sua Danse Macabre sarebbe stata capace di penetrare l'animo degli inquieti, con quel suo gusto romantico per le ombre, i notturni, la luna piena che sovrasta le case dei vivi e quelle dei morti. La casa di Alfreda, ricca portoghese, le racchiude entrambe, queste presenze: sono ricordi appena accennati, tentazioni fugaci, autobiografie consunte e misteriose. La casa di Alfreda suona perché il marito è un appassionato di musica e spende il suo denaro per istruire i giovani in quelle vecchie stanze; la casa di Alfreda è costruita attorno ad una monumentale scala lignea che cambia funzione a seconda della prospettiva: chi sale può credere di raggiungere il Paradiso e assecondare così le proprie visioni mentre chi scende raggiunge la terra, l'acqua, l'umanità e, forse, potrebbe cadere nel buio dell'Inferno. In questa splendida magione, sulla quale "fu sera e fu mattino" nel trascorrere dei giorni, della natura e della vita, Manoel de Oliveira, col suo nobile procedere, la sua magica arte della parola e il suo sapiente e scarno senso dell'immagine, dipana una storia molto femminile, percorsa da leggeri fremiti maniacali - come il soffio del vento - storia riflessa in molti specchi "magici" che evocano passati, spiriti, misteri e desideri, senza però riuscire mai a mettere a nudo l'anima di chi vi si specchia. Una storia folta di dialoghi che soprattutto vertono sulla Signora dalle candide vesti, quella che proprio in Portogallo apparve ai tre poveri pastorelli. Alfreda non si dà pace: è ricca, sente il peso del denaro ed è ossessionata dal desiderio di vedere Maria, per avere forse conferma della sua fede e della sua salvezza messa costantemente in dubbio. Cerca questa apparizione in se stessa, fuori di sé, dentro gli altri, la cerca riflessa in un fiume, nel silenzio del tempo, reclusa dal mondo. Si consuma in questo desiderio che non riesce ad appagare: vorrebbe che la Madre, incarnazione di quella che forse non ha avuto, le tendesse finalmente una mano. Morirà.
Il film è un difficile diario sul sacro e il profano nella vita: senza deridere mai il primo, senza accanirsi sul secondo. Un contorno di magnifici, superbi attori, ciascuno a rappresentare una risposta inattesa o inutile, fa da corona a questa "magica" riflessione su Alfreda, la grande attrice Leonor Silveira, ed i suoi specchi: la Mistica, impersonata dalla suora di Marisa Paredes, la Storia, ossia il Professore di Michel Piccoli, l'Umanità ingenua con il giovane Ricardo Trepa, e poi la Chiesa con il sacerdote, l'Arte con il marito, la Scienza con l'infermiera, la Furbizia con il falsario che vuole inscenare l'apparizione, l'Obbedienza con la cameriera, la Famiglia con la sorella, l'Amore con una ragazza e la Purezza con il sorriso di un bambino, che è poi l'ultima parola. Ciascuno di loro offre ad Alfreda una soluzione al suo male di vivere, una risposta ai suoi dubbi: sono il Coro delle voci di questa casa dei vivi e dei morti, sono la voce del mondo, sono il cuore e la carne, lo spirito e l'anima, la grazia e il peccato, la terra e il cielo.