Talento poliedrico (videoarte, documentari), acclarato e generoso, i gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio dopo il convincente esordio al lungometraggio di finzione con Sette opere di misericordia (2011) firmano l’opera seconda Spaccapietre, unico film italiano in concorso alle Giornate degli Autori di Venezia 77 e in sala da settembre distribuito da La Sarraz.

Nel cast Samuele Carrino, Licia Lanera, Antonella Carone, Giuseppe Loconsole e Vito Signorile, il protagonista è Salvatore Esposito (Gomorra) ovvero il nerboruto, silenzioso e sensibile Giuseppe, già spaccapietre e ora disoccupato per un incidente in miniera che gli ha lesionato un occhio: ha un figlio, Antò, che sogna di fare l’archeologo e gli attribuisce dei superpoteri, e aveva una moglie, Angela, morta di stenti mentre era al lavoro nei campi. Costretto a unirsi ai braccianti stagionali e a condividerne la tendopoli, Giuseppe incontra un’amica della defunta moglie, Rosa, ne trae conforto e cerca di difenderla dalle angherie del padrone: la salvezza passerà dalla ribellione.

Creatura bifronte nata dalla cronaca pubblica, la morte della bracciante pugliese Paola Clemente di qualche estate fa, e dalla memoria privata, la morte analoga della nonna dei De Serio nel 1958, nonché dalla professione di spaccapietre del nonno, il film “è innanzitutto il tentativo di riappropriarci di un’anima, quella di nostra nonna mai conosciuta, attraverso la storia e il corpo di un’altra donna” e prosegue nell’attenzione dei gemelli per gli ultimi, marginali ed emarginati, su cui posano uno sguardo empatico e condiviso, umanista nelle intenzioni e umano negli esiti. Un’antropologia visuale autentica, partecipata e diffusa.

Meno stilisticamente pregno di Sette opere, anche più immediato e semplice, sta attaccato ai personaggi, alle persone verrebbe da dire, che s’è scelto, gli umiliati e offesi che sapranno però, Giuseppe in primis, trasformare paura in violenza, sottomissione in vendetta, liberando destini, schiudendo possibilità, facendo di sogno, che Angela torni, realtà, e viceversa.

La musica dei Gatto Ciliegia è invasiva e didascalica, la fotografia di Antoine Héberlé sommessa, forse troppo, ma Spaccapietre è più della somma delle sue parti, perfino delle sue debolezze, perché sa tradurre il vissuto in vita, l’eredità in guadagno, l’album di famiglia in riflessione collettiva: migranti, tendopoli, braccianti, schiavisti, l’interpellanza è alle nostre coscienze qui e ora ma passa, primum cinema, dai nostri occhi, senza asservire il mezzo al messaggio.

Non esaltante la prova di Salvatore Esposito, un corpaccione cui al di là della sottrazione richiesta pare qui difettare profondità emotiva, meglio il piccolo Samuele Carrino (Antò) e la brava Licia Lanera (Rosa), l’opera seconda conferma la poetica, più che lo stile, dei De Serio, cui auguriamo una maggiore radicalità e consapevolezza dei propri mezzi, che - ribadiamo - non sono di tutti.