"Spero di vedere prima della fine di questa vita la fine del capitalismo rapace". Parole di Oliver Stone a L'Avana. Stacco. "Obama potrebbe essere il nuovo Roosevelt". Parole di Hugo Chavez. Stacco. Il discorso di celebrazione della vittoria del nuovo presidente americano. Siamo nei minuti finali di South of the Border, e lo schema è esattamente lo stesso della "chiamata alle armi" conclusiva di Capitalism: A Love Story di Michael Moore, amico del regista di Platoon (qui a Venezia sono stati a pranzo, e poi in sala insieme). Segno di un'unità di intenti e di intelletti, forse, ma soprattutto simbolo di un cambiamento reale che fa pensare che la rivoluzione sociale e politica in atto in Nord America non sia solo l'ennesimo sogno americano che si trasforma in incubo. Ma se Moore viaggia nell'America più o meno profonda, Stone prende l'aereo e va in Sud America, per incontrare i presidenti neobolivaristi che stanno cambiando la storia, l'economia, i rapporti di potere di quel continente. Come sei anni fa dedicò ben due bei documentari a Fidel Castro (Comandante e Looking for Fidel), ora, in un sequel ideale e idealistico, riparte dal suo erede, Hugo Chavez, per scoprire la sua verità sui pericolosi capi di governo a sud del Messico che tanto preoccupano analisti e neocon a stelle e strisce. Parte dal venezuelano, tracciando una storia del suo paese e della sua carriera politica degli ultimi 20 anni, per capire se (e come) è un dittatore, se davvero è un pericolo, per l'America e il suo paese, come è stato ostacolato e attaccato dall'amministrazione Bush. Rispetto agli ironici pamphlet di Moore, lui sceglie un'impostazione altrettanto empatica - forte la scena in cui i due, in quanto ex soldati, trovano un legame emotivo - ma forse più solida storicamente e analiticamente. Facciamo insieme a lui migliaia di chilometri, per trovare Evo Morales in Bolivia, coltivatore di coca (le foglie, non la polverina come la propaganda statunitense ama sostenere), Fernando Lugo in Paraguay, vescovo (torturato dal regime precedente come molti leader del neobolivarismo democratico) che crede nella teologia della liberazione, il giovane e sfacciato Correa in Ecuador che ha esordito con una geniale risposta ai "nemici": "volete mantenere la vostra base militare in Ecuador? Bene, allora fatene installare una ecuadoregna a Miami!". E ancora i coniugi Kirchner in Argentina, il sindacalista Lula, il Sud America che sogna un solo parlamento e una sola valuta si mostra nel suo coraggio e nei suoi ultimi anni di progresso e di lotta (di un certo successo) contro la povertà. Tra momenti goliardici (i palleggi calcistici tra Morales e Stone) e discorsi serissimi ecco i nuovi eroi della Revoluciòn, coloro che vengono definiti "La rivincita del Che". Chi più chi meno, hanno tagliato i ponti con l'FMI e le multinazionali Usa, hanno riformato i paesi a favore dei più deboli, cercano una terza via rispetto a ciò che nel secolo scorso ha fallito. Una riflessione profonda, importante, necessaria. Applausi scroscianti, durante e dopo la proiezione, e la voglia e la speranza di un mondo diverso e possibile un po' più viva.