Se è vero che Sopravvissuto – The Martian è il miglior film di Ridley Scott da parecchi anni a questa parte, è altrettanto vero che non ci voleva poi molto a diventarlo. L’autore di Alien e Prometheus è tornato ancora una volta nello Spazio impugnando però un registro quasi totalmente differente, più leggero, pur partendo da un assunto altamente drammatico. L’atteggiamento con cui l’astronauta Mark Watney/Matt Damon vive il suo isolamento forzato su Marte è quello di rassegnata ironia, mista alla volontà ferrea di sopravvivere. Finché Scott e il suo film restano attaccati a questo personaggio originale, umanissimo nella sua semplicità, The Martian si mantiene un prodotto di qualità altissima, poiché mescola la messa in scena sempre esteticamente preziosa del cineasta con la forza emotiva della vicenda. Sotto questo punto di vista, fondamentale è l’apporto di un Matt Damon in forma strepitosa: con la sua capacità di dar profondità alla vita interiore dell’uomo comune, l’attore rende Watney uno straordinario eroe di tuti i giorni, commovente nel suo sforzo di rendere “normale” una situazione così straordinaria. Il terrore e l’angoscia che si celano dietro la facciata ironica e soltanto apparentemente serena sono rese perfettamente da Damon, alle prese con una delle migliori interpretazioni della sua ammirevole carriera.

Purtroppo però la seconda parte di Sopravvissuto – The Martian si concentra troppo sulla missione di salvataggio del protagonista, inserendo momenti e sottotrame che grondano retorica e sprecano la tensione originale. Il tono leggero che paradossalmente funziona benissimo per delineare la situazione disperata di Watney risulta poi invece immotivato, se non addirittura fastidioso, negli altri personaggi. Quanto di buono mostrato nella prima metà del film viene in molta parte sciupato, facendo dell’operazione complessiva un qualcosa di apprezzabile che però lascia in bocca il sapore dell’occasione persa. Come ormai succede molto, troppo spesso nella filmografia di Ridley Scott.