L'universo di molti film presenti alla Mostra del Cinema è popolato da adulti mai cresciuti che scaricano colpe e responsabilità sui figli. Ai ragazzi disagiati di Mysterious Skin fa eco la piccola Aviva, dodicenne che vorrebbe essere donna raccontata da Todd Solondz in Palindromes. Aviva vuol crescere in fretta per realizzare un sogno da sempre coltivato, avere un bambino, accudirlo e amarlo come la famiglia non ha fatto con lei. Un goffo incontro con un altro adolescente, grasso e sformato a furia di patatine e bibite gassate e dalle lunghe ore di fronte alla tv, realizza i suoi sogni. Destinati però a scontrarsi con quelli dei genitori, che per lei vogliono un futuro a base di college e successi. Per i figli ci sarà tempo. Un tempo che invece non potrà più arrivare, perché consegnata nelle mani di un medico che in passato aveva liberato la madre di una seconda indesiderata gravidanza, rimane vittima di un intervento che le toglie per sempre la possibilità di procreare. Ipocrisia nell'ipocrisia, nessuno trova il coraggio di raccontare ad Aviva la verità. Così la bambina continua a desiderare un figlio, e a chiedere aiuto ad adulti irresponsabili che approfittano di lei. Inizia allora una fuga dalla famiglia in cerca di un'altra famiglia, quella che però non potrà mai più avere. La storia di Aviva al culmine del dolore torna indietro là dove è cominciata, sempre uguale a se stessa, come il suo nome palindromo che si può anche leggere al contrario. Costretta a vivere tra adulti malati di infantilismo, il cui patologico rapporto con la realtà genera mostri incapaci di salvaguardare la vita, siano essi i genitori siano i fanatici antiaboristi che rispondono con la morte alla morte, Aviva mantiene tuttavia intatta la sua purezza rara, vittima sacrificale degli egoismi di una generazione al potere, quella dei quaranta-cinquantenni, che non pensa che a se stessa. Solondz però dimostra di condividere sin troppo bene dolori e angosce, tanto che il film al contrario dei suoi precedenti, sembra rispondere più a un'urgenza personale di analisi che a un obiettivo discorso sui traumi dell'infanzia. Manca alla fine una luce universale ad illuminare il problema. Una sensazione che non è stemperata dal trucco di far interpretare Aviva da tante ragazzine diverse. La scelta è solo ridondante ed enfatizza ciò che è già evidente, il male si annida ovunque, nessuna casa è riparo sufficiente per i figli di una società che non si interroga mai fino in fondo.