Slam – Tutto per una ragazza, dal romanzo omonimo di Nick Hornby, scrittore adattato e adottato assai spesso dal cinema. Non è più Londra, ma Roma, non è più quel finale, ma un altro, e ulteriori cambiamenti sono nel mezzo: dirige Andrea Molaioli, già dietro la macchina da presa per La ragazza del lago e Il goiellino.

Protagonista, Samuele detto Sam (Ludovico Tersigni), 16 anni, una madre 32enne (Jasmine Trinca) con cui vive e un padre (Luca Marinelli) assai genuino separati da tempo. La sua grande passione è lo skateboard, il suo eroe è Tony Hawk, il più grande skater di tutti i tempi, con cui dialoga tra sogno e realtà, leggendone l’autobiografia (Hawk. Professione skater, Salani Editore) Ma nella sua giovane vita c’è spazio anche per l’amore e altri disastri, tipo un figlio in arrivo: la madre è Alice (Barbara Ramella), e il triangolo lui, lei e il bambino – Rufus detto Ufo – non sarà facile, ma a geometrie variabili, complici una serietà rimbaudianamente impossibile a 17 anni, figuriamoci a 16, e famiglie, quella di lei, intrusive.

Fatto sta, la madre del cinema italiano attuale è sempre adolescente: dopo Piuma di Roan Johnson, questo Slam, e la coincidenza forse non è solo sfiga, ma sintomo di una nociva coazione a ripetere e ripetersi. Insolito, per di più, l’accanirsi su questi genitori teenager in un Paese, l’Italia, a crescita zero o peggio: i figli oggi si fanno soprattutto al cinema, forse perché costa meno.

Slam inizia bene, con il POV di una tavola in giro per Roma, e anche l’incontro tra Sam e Alice, innescato dalla madre di lui, funziona: dura poco, però, perché il film vuole essere troppe cose, senza esserne nessuna. Qual è la direzione, dov’è il focus? Non giovano le fughe dalla realtà di Sam, seguite da rewind che sulla carta sono una cosa, sullo schermo confondono, se non infastidiscono: ci sono passaggi indovinati, dinamiche relazionali, anche madre-figlio e padre-figlio, tratteggiate con verità, ma manca il tessuto connettivo, il senso complessivo di una trasposizione che anela al dramedy e rimane sospesa tra Bildunsgroman e tranche de vie generazionale, manuale d’amore (genitori & figli) e intenzione antropologica.

Se il parto è da dimenticare per trascuratezza e inverosimiglianza, più in generale si avverte una visione dall’alto in basso sotto il profilo anagrafico: apprezzabile il tentativo di liberare questi ragazzi dall’apatia in cui li costringe il mondo degli adulti, nondimeno Slam sembra fatto e inteso da una prospettiva adulta, segnatamente dal punto di vista delle madri, anzi, delle nonne.

Nonostante discreti interpreti – il cammeo espanso di Marinelli spacca, Tersigni ha una presenza bella e riflessiva, la Trinca la giusta levità – e nonostante il titolo, Slam non ha il coraggio di chiudersi alcuna porta alle spalle e di imbroccare – la storia tra Sam e Alice è lampante al riguardo – una strada che sia una, ovvero un film che sia uno. Giusto o sbagliato, ma uno, come la stessa filosofia skater pretenderebbe. Si chiama irresolutezza, ed è il peccato di tanto cinema italiano ultimo scorso.

PS: ma perché Alice decide di tenerlo, il bimbo?