Seabiscuit fu, nell'America degli anni '30, qualcosa di più di un cavallo. Fu una leggenda, una mania collettiva. Perciò non deve essere stato difficile, per il regista Gary Ross (che ha tratto il film da un libro di Laura Hillenbrand) evitare le trappole del prodotto "di settore". Operazione riuscita. Seabiscuit non è solo un film per appassionati di ippica e amanti di cavalli, ma anche uno spaccato di storia americana. Le vicende di Seabiscuit scorrono in parallelo con il racconto degli States di quegli anni. Il boom dei primi decenni del secolo, la crisi del 1929 e la Depressione, i "Radio days", i miti di una nazione ingenua e in cerca di speranze. Così narrata, la storia di Seabiscuit è una perfetta rappresentazione del sogno americano per cui "ogni cavallo è buono per qualcosa", esattamente come le persone. Una traduzione in termini di mercato della parabola dei talenti: un cavallo pazzo e sotto taglia ha la stoffa del campione, un cowboy senza più far-west porta con sé dalla frontiera i segreti del perfetto allenatore (l'ottimo Chris Cooper), il giovanotto senza famiglia si trasforma da pugile fallito in fantino vincente (un opaco Tobey Maguire), un industriale in disgrazia familiare e aziendale si reinventa come proprietario di scuderia (Jeff Bridges). Non c'è da stupirsi che l'America di questi tempi, in crisi di identità e di immagine, abbia rispolverato una leggenda di quei lontani anni bui per riunirsi attorno al focolare, confortarsi, commuoversi e commuovere. Negli States di oggi si fa affidamento su Hollywood come nella Grecia antica su Omero: si delega cioè al cinema la funzione mitopoietica. Perciò se la storia di Seabiscuit è reale, la si confeziona in modo tale che assuma la forma del mito, attingendo a piene mani alla retorica dei valori fondanti il modello americano. Fiducia nelle abilità individuali, gusto di sfidare l'impossibile, proiezione verso un futuro migliore sempre e comunque. "Tutto è possibile", ci viene ripetuto varie volte nel corso del film: "Tutto", s'intende, nella favolosa America in cui un cavallo zoppo viene montato da un fantino sciancato e vince la sua corsa con qualche lunghezza di vantaggio. In un siffatto Paese non si può che galoppare verso un più luminoso futuro.