Dopo un periodo di grandi successi professionali all'estero, l'architetto Serena Bruno decide di rientrare in Italia. Trovare lavoro non è ovviamente facile e la donna si adatta, tra altre piccole occupazioni, a fare la cameriera in un ristorante di buon livello. Qui conosce il proprietario Francesco, bello e affascinante, con il quale prova ad avviare una storia che si chiude con la scoperta che lui è omosessuale. Tuttavia Serena accetta di trasferirsi a casa sua e intanto partecipa ad un bando per la riqualificazione del quartiere Corviale. Convocata per esporre il progetto, si sente chiedere dov'è l'architetto Bruno Serena. Risponde che è in Giappone, che lei è la segretaria e poi convince Francesco ad assumere il ruolo di lui. Si tratta di un espediente che spacca il film in due.

La regia di Riccardo Milani riprende all'inizio un canovaccio molto in voga nelle commedia anni '50-'60: voce fuori campo della protagonista che racconta della propria vita dall'infanzia in un paesino dell'Abruzzo. Un seconda parte dove comincia la radiografia (o presunta tale) dell'Italia com'è oggi. Il tratto comune è la finzione, quell'obbligo deprimente di mascherarsi dietro altre identità, di perdere fiducia in se stessi e negli altri. Certo, alla fine i nodi vengono al pettine e i conti tornano. La storia si apre all'ottimismo, e la verve di una eccellente Paola Cortellesi rende credibile l'incrocio tra Serena Bruno e Bruno Serena. I cattivi e i pavidi rientrano nei ranghi, forse anche a Corviale si vivrà meglio. Resta l'impressione di un copione segnato da qualche forzatura, qualche sottolineatura che appesantisce i personaggi e da maschere li fa diventare macchiette. Difetti più di scrittura che di regia. Bova tutto fisico, coprotagonisti e comprimari all'altezza: Fantastichini, Savino, Fortuna. Ci voleva un po' più di equilibrio tra cronaca, denuncia, umorismo casareccio.