30 aprile 1945. I corpi di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, coppia celebre nella vita così come sul grande schermo, vengono trovati in via Poliziano a Milano. Giustiziati dai partigiani, i due attori - protagonisti del "cinema dei telefoni bianchi" sostenuto dal fascismo - aderirono alla Repubblica Sociale dopo l'armistizio del '43, poi Valenti si arruolò nella Xª MAS e per fare rifornimento di cocaina e morfina divenne assiduo frequentatore di Pietro Koch a villa Triste, luogo dove si dice abbia partecipato alle torture dei molti prigionieri con la Ferida seminuda per fomentare i seviziatori.
Marco Tullio Giordana porta a compimento un progetto nato - almeno a livello ideale - sul finire degli anni '70: l'intento, nemmeno troppo celato, è quello di raccontare in maniera meno semplicistica perché Valenti e la Ferida, uno Zingaretti molto vicino al modello di riferimento e una Bellucci un filo al di sopra dei soliti standard, dovessero dare il buon esempio a tutti pagando con la morte. Revisionista, obietterà qualcuno, ma il vero problema è altrove: in quella circolarità del racconto che non sfugge alle logiche didascaliche di certe opere tv, appiattendo dove bisognerebbe evocare, esagerando dove invece sarebbe meglio sussurrare.