In Italia spesso un film di genere, oltretutto d’autore, rischia grosso. Come nel caso di Respiri, l’opera prima di Alfredo Fiorillo, ascrivibile alla categoria del thriller psicologico, ma che è qualcosa di molto più sfuggente: piuttosto un puzzle mentale che lo spettatore deve ricomporre poco alla volta, evitando accuratamente la pista realistica per concentrarsi sull’equazione tra lo spazio fisico/architettonico e lo stato psichico di Francesco, i ricordi inclementi legati al contesto familiare, le presenze inquietanti che si muovono all’interno e all’esterno di una villa sul Lago d’Iseo che a sua volta funziona come unna sorta di protagonista parallela.

Occhio inoltre alla lunga inquadratura iniziale, e in generale a ogni movimento della macchina da presa, ogni scena, ogni battuta, ogni repentina variazione di tono, sempre un’ottava più su del normale, che restituiscono un persistente effetto di straniamento, di disagio, onde costruire una fitta, inesorabile e sempre più inestricabile rete di indizi, impressioni, suggestioni. Il territorio insidioso è quello dei film a chiave di M. Night Shamalyan, di Dream House di Jim Sheridan, Shutter Island di Martin Scorsese e The Ward di John Carpenter.