L'amore ai tempi dell'Aids. In musical e pensando alla Boheme di Puccini. E' l'ardita, e a sprazzi trascinante, operazione di Chris Columbus. Alle spalle l'omonimo spettacolo del premio Pulitzer Jonathan Larson, il regista di Harry Potter e Mamma ho perso l'aereo cambia completamente registro. Prolisso e spesso sdolcinato, riesce però in una rilettura costellata di efficaci parentesi danzanti. L'incipit è buonista e visivamente suggestivo. 1989, vigilia di Natale: su ritmi che ammiccano agli storici Hair e Tommy, la solidarietà dell'East Village contro lo sgombero di uno squat si manifesta in una pioggia di volantini in fiamme dalle finestre. Poi la musica cambia, i ritmi rallentano. Columbus strizza l'occhio a Saranno famosi e presenta una galleria di bohemienne un po' smussati. Il più lacerato è Roger: introverso chitarrista, piegato dalla morte per Aids della fidanzata. A riportarlo alla vita prova Mimì, ballerina col vizio dell'eroina e il volto acqua e sapone di Rosario Dawson. Con loro anche una romantica drag queen malata di Hiv e un inconsolabile musicista piantato dalla fidanzata per un'altra donna. Tutti personaggi sopra le righe, però sapientemente integrati nella storia. Tanti, soprattutto nella prima parte, i momenti in cui ci si sorprende a ritmare le musiche. Prima dell'intenso finale, e del corale balletto che l'accompagna, c'è però un vistoso calo di tensione, in cui Columbus sembra perdere ritmo e senso del film.