Che poi Peter Berg nemmeno è male: su tutti Boston: Caccia all’uomo (2016), poi Battleship (2012), ma anche i negativi Lone Survivor (2013) e Deepwater (2016). Qui se non fa peggio, poco ci manca: Red Zone, titolo inglese per l’Italia che mutua l’originale 22 Miles, vale nel migliore dei casi una puntata di raccordo di Homeland et similia, non il biglietto cinematografico.

Genere d’ordinanza spy-action-thriller, le originarie 22 miglia son quelle per cui la squadra speciale Red Zone deve scortare un informatore straniero da esfiltrare: riusciranno il masochista – Tafazzi si prendeva a bottigliate nel basso ventre, lui si limita a far schioccare un elastico sul polso, son gusti – James Silva (Mark Wahlberg, bicipiti e poco altro) e il braccio destro Alice Kerr (Lauren Cohan, bella ma non balla), che tiene figlia e soffre la lontananza, a proteggere la risorsa Li Noor (Iko Uwais, il più bravo ma ci vuol poco) e i suoi segreti nuclear-terroristici?

I nemici motorizzati non si tirano indietro, e non danno tregua a un convoglio progressivamente più esiguo: i nostri eroi - ufficialmente - senza patria né – fattivamente - legge arriveranno in tempo sulla pista aerea della salvezza? A guidarli a distanza è l’Alfiere (Joan Malkovich), ma i loro saranno due destini che si uniscono, e il tiro mancino effettivamente è della partita.

Insomma, come sparatutto va anche bene, le coreografie non sono male e non si lesiona sul piombo, ma twist e detection fanno piangere o, se preferite, ridere: è tanto, troppo clangore bellico per nulla. Con per di più una temibile apertura al futuro: non chiude i giochi Red Zone, ma libera il sequel. Dio ce ne scampi.