Francis Lawrence cavalca ancora l’onda della rivoluzione “giovane” di Hunger Games. Ama le grosse produzioni, gli ambienti eleganti e le eroine che cercano di ribaltare i potenti e il sistema. In Red Sparrow, il regista ritrova la sua musa Jennifer Lawrence (non c’è alcuna parentela) e la proietta nella Russia post Guerra Fredda.

Dominika Erogova è la prima ballerina del Bolshoi e pensa di essere sul tetto del mondo. Si prende cura della madre malata, è ambiziosa, e la sua bellezza è un’arma aggiunta. Ma le invidie sulle luci della ribalta le distruggono il futuro. In stile I, Tonya, le spezzano una gamba durante uno spettacolo ed è costretta a ritirarsi dalle scene. Lei si vendica con le stesse armi, rompendo la mascella di una collega. Il teatro la licenzia e lo spettro della miseria si avvicina, così Dominika si rivolge allo zio, un pezzo grosso dei servizi segreti: diventerà una “Sparrow”, una spia letale in grado di manipolare le pulsioni degli uomini.

Il film è tratto dal romanzo Nome in codice: Diva, il primo di una trilogia scritta dall’ex agente della Cia Jason Matthews, di cui fanno parte anche Il palazzo degli inganni e The Kremlin’s Candidate. Inizialmente l’adattamento per il grande schermo doveva essere diretto da Darren Aronofsky, poi da David Fincher (con protagonista Rooney Mara). Alla fine è arrivato Francis Lawrence, che ancora risente dei suoi esordi con videoclip e spot pubblicitari. Costruisce scenografie pompose e fa in modo che la sua pupilla, in un modo o nell’altro, non perda il tocco glamour. La mente è all’estetica invece che alla sceneggiatura, dove la durata di 140 minuti potrebbe scoraggiare anche chi si arma di santa pazienza.

Le lungaggini sono molte, con la prima mezz’ora che fa il verso a Mata Hari e alle sue illustri colleghe. Francis Lawrence scimmiotta i classici, cerca di mettersi sulla scia di Salt, Lucy e Atomica bionda, perdendosi nei meandri di Mosca e Budapest. Fa spogliare la sua omonima Jennifer per mantenere sveglia la platea, e aggiunge un’infarinatura gore per gli amanti del sangue.

L’obiettivo era di costruire una spy story dura e cruda, consigliata solo a chi ha uno stomaco forte. Ma l’andamento è farraginoso, e la vena action lascia il posto a inquadrature anonime e a tempi inutilmente dilatati. Il tema della mercificazione del corpo (oggi di grande attualità) va a farsi benedire. L’unica nota positiva resta la presenza di Charlotte Rampling, che dà tutto il suo carisma alla “perversa” di turno.