Quando un padre di Mark Williams (produttore qui all'esordio nella regia) vede coinvolto nel ruolo di protagonista l’action man Gerard Butler, qui spietato recruiter al servizio di Ed (Willem Dafoe), manager senza scrupoli e assetato di potere e soldi, coadiuvato sul set da Alfred Molina, Gretchen Mol e Alison Brie.

Dane Jensen  (Butler) è un “cacciatore di teste” che per anni ha passato la maggior parte delle giornate in ufficio per dare il miglior tenore di vita possibile alla sua famiglia. La sua esistenza cambia improvvisamente quando uno dei suoi tre figli si ammala gravemente.

Film drammatico a tinte medical, il debutto di Williams si presenta come un lavoro strappalacrime avente al centro del copione quanto di più trattato negli ultimi anni dal cinema statunitense.

 

Se fino a prima dell’evento cruciale (la diagnosi della malattia) sembra di essere catapultati nella Wall Street di Scorsese con tanto di Butler pronto a sostituire un arrivista e ultracompetitivo Di Caprio, il post-diagnosi è un assemblaggio di vari temi (dal dialogo interreligioso all’11 settembre) che sembrano causare un vero e proprio corto circuito, con tanto di black-out innescato da una serie di eventi improbabili e tutti caratterizzati dal lieto fine.

Lo sceneggiatore Dubuque concentra una serie di situazioni toccanti al limite del possibile, sfociando molto spesso in epiloghi poco credibili (seppur d’impatto) e seguendo una narrazione smielata poco convincente e che si addice più agli standard televisivi da prima serata che non al grande schermo.

La vicenda gravita attorno a una coppia in crisi per via dell’assente figura maschile e il loro conflitto si risolverà soltanto una volta colpiti dal drammatico evento. Nulla di nuovo e tutto già visto. Insomma, non c’è da mettersi troppo comodi in poltrona.