Il fermento sudamericano che da qualche tempo sta animando il cinema, non è contagioso. Dopo i Salles e i Mereilles, i registi brasiliani stanno spuntando qua e là come funghi, circolano nei festival, ci sono esordi più che interessanti persino nell'animazione (O menino e o Mundo di Ale Abreu, che è appena uscito nelle sale in patria). Non è questo il caso di Praia do futuro di Karim Ainouz, oggi in concorso alla Berlinale 64.  Qualche riga di trama: Donato fa il baywatcher in Brasile, il mare è la sua vita. E' abituato a domare le onde di Praia do futuro, una spiaggia selvaggia di Fortaleza, ma un giorno due motociclisti arrivati dalla sabbia si buttano in acqua. Uno dei due sparisce nelle correnti oceaniche, nonostante gli sforzi di Donato. L'altro si salva, Konrad, un turista tedesco (misteriosamente sa benissimo il portoghese), che non si rassegna alla scomparsa dell'amico: lo cerca per mare, per terra, per aria. Nel mentre Donato ha perso la testa: colpo di fulmine, un'attrazione così fatale che gli fa abbandonare madre e fratello all'improvviso per seguire Konrad a Berlino. Qui però non succede nulla, l'amore non basta a placare l'irrequietezza di Donato e i suoi sensi di colpa. Il tempo passa e qualcuno arriva dal passato a ricordargli l'esistenza precedente, la passione per il mare è sempre prepotente: con tanto di muta e bombole è finito a pulire i vetri di un enorme acquario (una metafora?).
Con Konrad è finita, o almeno sembra, e lui è rimasto intrappolato in una città senza mare, senza uno scopo, incapace di andare avanti o tornare indietro. Ainouz, che ha debuttato nel 2002 in Un certain regard a Cannes con Madame Sata e ha diretto vari film tv, oltre a essere documentarista e videoartista, conosce il mestiere e in alcune scene si capisce. Non basta: il racconto si trascina stancamente per oltre 100 minuti, senza guizzi di nessun tipo. Non si prova un fremito per il protagonista, o per la storia, slegata e priva di ritmo.