Rimpiangere il passato o detestare il presente? Pende comunque dalla parte sbagliata la bilancia esistenziale dei tre protagonisti di Posti in piedi in Paradiso. Un discografico di successo (Verdone) travolto da onde sonore sintonizzate sui nuovi mercati; un imprenditore rovinato dal vizio del gioco e dall'azzardo in camera da letto (Giallini); un critico cinematografico (Favino) caduto in disgrazia con il proprio direttore per averne sedotto (per email!) la moglie.
Tre moschettieri dalla spada spuntata e le calze bucate, eternamente in bolletta e stretti nella morsa dei matrimoni falliti, dei figli a carico e degli alimenti da pagare. Vite tremebonde e terremotate, smarrite e speculari, costrette nella trincea di un appartamento bombardato dal passaggio della metropolitana, tagliato fuori dal mondo, con poco campo (per i cellulari) e anche meno spazio (per vivere).
Il dominio della crisi si è esteso fino a intaccare il cinema di Carlo Verdone, al suo ventitreesimo film da regista. Se Io, loro e Lara terminava con l'espatrio (volontario) del comico romano, il ritorno in patria è da apolidi, lo scenario sconosciuto, scomodo, ristretto. Disponibili solo posti in piedi. Sospinta da una grande allucinazione collettiva la nave Italia è andata avanti senza rendersi conto che il mare delle possibilità e della ricchezza (il paradiso) intanto si stava prosciugando. Nelle secche son finiti tutti, tanto che la generazione dei 60, 50, 40enni - provvida solo di nostalgie e rimpianti - può confondersi con le successive - quella dei nati precari (che sono in definitiva più preparati, ergo più responsabili dei loro padri) - e condividerne infamia e destino.
Dentro questa visione d'insieme, disincantata e a tratti feroce (climax raggiunto con la festa di compleanno della Ramazzotti), Verdone non ha più nemmeno bisogno di orchestrare farse e indossare maschere (come sempre felice la scelta dei volti): la realtà è diventata talmente iperbolica e sfasciata, deformata e finta, che è sufficiente rispecchiarla. Si ride di riflesso, ma guardarsi fa male. Quei posti in piedi sono anche per noi.