Philomena Lee custodisce un segreto doloroso. Nel 1952, ancora adolescente, rimane incinta. Mandata nel convento di Roscrea, luogo in cui vengono rinchiuse le "ragazze perdute", dà alla luce Anthony. Che solamente un paio d'anni più tardi viene affidato dalle suore ad una famiglia americana. 50 anni dopo, la donna - che non ha più saputo nulla del bambino - è ancora alla ricerca di suo figlio. Lo scrittore e giornalista Martin Sixsmith, venuto a conoscenza della sua storia, intraprende con lei un viaggio che non solo rivelerà l'incredibile vicenda del figlio, ma finirà per unirli in un legame speciale.
Stephen Frears torna in Concorso a Venezia sette anni dopo The Queen: la regina, stavolta, è Judi Dench, all'ennesima prova straordinaria, affiancata da un altrettanto eccellente Steve Coogan, coautore della sceneggiatura e produttore del film, tratto dal libro "The Lost Child of Philomena Lee" di Martin Sixsmith, pubblicato nel 2009 e basato sulla storia vera di una madre alla ricerca del figlio perduto.
E' un trattato sull'equilibrio, Philomena, la dimostrazione che il cinema può rapportarsi anche ad episodi reali senza dimenticare le mutevoli componenti che possono caratterizzare una storia, o la vita stessa: per farlo, Stephen Frears sceglie di non utilizzare un unico binario per le emozioni, creando in questo modo una miracolosa alternanza tra gli aspetti più struggenti di una vicenda di per sé strappalacrime e gli irresistibili, divertenti duetti tra Philomena e Martin. Da una parte la semplicità di una donna caratterizzata da un senso dell'umorismo a dir poco naïf, profondamente cattolica nonostante tutto, dall'altra il pragmatismo, il cinismo e l'ironia tipicamente british di un intellettuale ateo e abituato a ben altre storie.
Mai banalmente, considerati gli sviluppi reali della ricerca intrapresa e l'evoluzione del racconto (che evitiamo di anticipare), il lavoro di Frears - realizzato su commissione - si svincola con maestria dal portare un semplice e superficiale attacco anticlericale, esaltando invece la dignità di chi crede proprio nella sequenza più significativa dell'intero film, affidando ad una parola - "perdono" - il senso ultimo e più profondo dell'intero viaggio.
Leone d'Oro? Chissà, quel che è certo è che per la Coppa Volpi bisognerà far meglio di entrambi i protagonisti di Philomena, già in rampa di lancio per la prossima edizione degli Oscar: per informazioni rivolgersi alla Weinstein Company.