Per Alain Wapler esiste soltanto il lavoro: non si ferma neanche quando è colto da ictus. Si risveglia in ospedale apparentemente indenne, ma quando apre bocca pronuncia frasi senza senso. L’ictus ha sconvolto il ritmo dei suoi discorsi, e farà lo stesso con quello della sua vita.

Alain, l’uomo sempre impegnato (Un Homme Pressé è il titolo originale) è Fabrice Luchini, protagonista di un one man show che sa far ridere ed emozionare con le sue involontarie acrobazie linguistiche. L’uomo è costretto a riscoprire i rapporti umani, fino a quel momento un rumore di fondo, subordinati alla sua aggressività verbale.

Il film narra con onestà questa parabola umana, allentando però il ritmo (in una mimesi del percorso del suo protagonista) nel terzo atto, in cui depone le armi della drammaturgia a favore di una lunga scena di montaggio, tipica scorciatoia del feel good movie che non ha voglia di elaborare fino in fondo la trasformazione di un personaggio.

Alain arriva addirittura a risolvere i problemi personali dell’ortofonista che lo sta rieducando alla parola: una svolta buonista che, comunque, non cancella le discrete intuizioni di messa in scena e l’istrionica interpretazione di Luchini.